Avete presente l’aggettivo cool, con il quale si designa qualcosa di coinvolgente ed intrigante? Bene. A questo punto, non dovrebbe essere difficile prendere confidenza con la sua variante dialettale: toko. Più che un aggettivo, la porta di accesso a una comunità di ragazzi che – per riprendere le parole di uno dei suoi animatori – ha deciso di innescare un «terremoto culturale», con la speranza che quest’onda sismica risvegliasse i giovani del Vallo di Diano.
Questa terra di confine tra Campania e Basilicata ha sprigionato una carica di suoni e visioni che va sotto il nome di Toko Film Fest, la rassegna di cortometraggi nata nel 2014 a Sala Consilina, il centro più popoloso della valle. Il cinema come pretesto «per stare insieme», la socialità come laboratorio di idee in risposta a chi ha improvvidamente sostenuto che, in questi luoghi, gli unici spazi possibili di aggregazione siano bar e ristoranti.
Ragazzi, avete deciso di portare lo spirito del festival, che si svolge abitualmente nella celebre Chiazzaredda (Piazzetta Gracchi) di Sala Consilina in giro per i comuni del Vallo di Diano. Da cosa è nata questa idea?
Luigi D’Auria: Non nascondo che, nel pieno dell’emergenza sanitaria, abbiamo vissuto una fase di smarrimento – come tutti, del resto. A un certo punto, però, ci siamo confrontati e ci siamo dati un obiettivo: diventare sacerdoti della bellezza. Dopo aver valutato se ci fossero le condizioni per organizzare il Toko Film Fest, abbiamo deciso di dare vita a tanti piccoli eventi nei paesi della zona, con l’obiettivo di coinvolgere le singole comunità del Vallo di Diano e le associazioni che operano nei nostri centri. Se il periodo di confinamento fosse proseguito, la nostra idea era quella di portare il cinema a casa, davanti ai condomini e sui balconi, per puro spirito di servizio.
La vostra missione non è circoscritta al cinema: l’associazione che organizza il TFF ha cercato di ravvivare il centro storico di Sala Consilina, che negli ultimi anni si è progressivamente spopolato. Come avete cercato di conciliare l’amore per il cinema con la cultura dell’incontro e delle relazioni sociali?
Alex Ferricelli: Il rapporto di amicizia e collaborazione con il Lucania Film Festival, organizzato da Rocco Calandriello a Pisticci (Matera, ndr), ci ha insegnato che il cinema non è importante soltanto come forma di intrattenimento e di svago. Noi pensiamo che il cinema possa essere un formidabile strumento di interazione tra l’arte e la collettività. Mentre venivano proiettati i corti in questa piazza, osservavo incuriosito
gli altri che guardavano esattamente ciò che guardavo io, immaginando nel contempo cosa stessero pensando dei corti che abbiamo selezionato.
Proviamo a spiegare ai lettori di Venti che cosa significa l’aggettivo toko, con il quale avete reso senz’altro più iconico e riconoscibile il festival.
Luigi D’Auria: Ti racconto un aneddoto: nel 2015, mentre si completava la procedura di selezione dei corti in gara, siamo stati taggati su Facebook dalla pagina di un corto che noi non avevamo ricevuto. Il messaggio, tradotto dall’inglese, diceva più o meno così: «Siamo felici di aver partecipato al primo concorso per cortometraggi del Tokyo Film Festival». (Ride). Comunque, è vero: toko è la traduzione di cool in dialetto salese. Questo aggettivo esalta l’originalità, lo spirito di iniziativa e l’immaginazione che sono dietro a qualsiasi iniziativa, anche se sbagliata.
In questo modo, noi esprimiamo il nostro legame con il nostro territorio e con le nostre origini, benché il festival abbia cercato in questi anni di allargare i suoi orizzonti.
Quanto è difficile fare cultura in periferia, a maggior ragione quando il sostegno delle istituzioni e dell’opinione pubblica non è totale?
Luigi D’Auria: Sappiamo tutti che è difficile promuovere iniziative culturali da queste parti. Tuttavia, se riesci a mettere al centro di tutto l’amicizia, si può superare qualsiasi ostacolo. La più grande soddisfazione per noi sono le collaborazioni con festival e rassegne che ricordano molto da vicino il nostro percorso di crescita. Grazie a questi rapporti di collaborazione, abbiamo la grande opportunità di confrontarci con le generazioni successive alla nostra, a cui dobbiamo tanto perché ci hanno convinto
a seguire la strada del rinnovamento. La svolta del TFF è avvenuta nel 2016, quando un gruppo di adolescenti chiese di unirsi a noi. In quel momento, abbiamo capito che potevamo davvero farcela.
Aver coinvolto i più giovani significa che c’è grande curiosità per i linguaggi dell’arte cinematografica anche tra i millennials.
Alex Ferricelli: Ci siamo resi conto che abbiamo tanto da imparare da coloro che si sono avvicinati di recente alla famiglia del “Toko”. È la dimostrazione che il cinema, pur essendo un’espressione artistica apparentemente vecchia, è sempre capace di rinnovarsi senza tradire la sua originaria natura.
Molti festival hanno scelto di trasferirsi in rete per non arrendersi all’emergenza sanitaria. Cosa immaginate per il futuro del Toko Film Fest?
Gianluca Pacilio: Avevamo pensato anche noi all’opportunità di trasmettere l’evento in streaming, ma riteniamo che il TFF debba essere un appuntamento reale, nel quale le persone possano incontrarsi e parlare tra di loro. Per la verità, non sappiamo se riproporremo la formula itinerante anche l’anno prossimo o se torneremo alla Chiazzaredda di Sala Consilina. Ad ogni modo, questa emergenza ha dimostrato che il nostro festival si è adattato alle circostanze: d’altronde, oggi vince chi riesce a evolversi e ad adattarsi meglio. Ovviamente, vogliamo continuare il nostro processo
di espansione, senza però rinunciare al desiderio di portare qualcosa di nuovo al pubblico.
Per conoscere da vicino la storia ancora giovane del “Toko”, collegatevi al sito www.tokofilmfestival.it oppure seguite le pagine Facebook, Instagram e YouTube della rassegna.
Di seguito, le prossime tappe:
24 luglio – Buonabitacolo (Piazza San Donato)
27 luglio – Monte San Giacomo (Villa comunale)
29 luglio – Padula (Battistero di San Giovanni in Fonte)
2 agosto – Teggiano (Largo Sant’Angelo)
4 agosto – Sala Consilina (Piazzetta Gracchi/’A Chiazzaredda)
Nonostante sia cresciuto nell'era del digitale, si professa analogico e nostalmalinconico. Cultore di Springsteen, dei saggi storici e delle gassose, ha scoperto Venti in piena pandemia: amore a prima vista. Ricambiato, una volta tanto.