Negli ultimi mesi, un dibattito ricorrente riguarda l’impiego delle tecnologie dell’informazione per potenziare, ottimizzare e implementare l’offerta didattica degli istituti di formazione, delle scuole e delle università. Sicuramente i dispostivi tecnologici possono giocare un ruolo importante in questo settore, ma richiedono a tal fine un inserimento ragionato e graduale. Su questo fronte, è evidente come la pandemia da Covid-19 abbia in certa misura forzatamente accelerato l’ingresso della tecnologia anche nell’universo della formazione. Dall’esperienza vissuta in emergenza si possono così ritrarre significativi spunti di riflessione anche per l’applicazione a regime di alcune innovative formule “smart”.
Una questione particolarmente rilevante riguarda l’utilità delle forme di intelligenza artificiale nell’ambito della formazione. Già oggi, infatti, l’universo tecnologico restituisce forme di IA estremamente avanzate che, con ogni probabilità, in futuro saranno ulteriormente potenziate e implementate. Si tratta, inoltre, di prodotti agevolmente accessibili e comunemente disponibili sul mercato. È quindi indiscutibile che nel prossimo futuro si dovrà tener conto, in tutti i settori e a tutti i livelli, di queste forme di intelligenza artificiale come strumenti ordinariamente acquisibili. Questa consapevolezza influenzerà forse, in certa misura, anche il funzionamento del mercato, nel senso che le stesse aziende sapranno di potersi dotare di dispositivi di IA e di poterne fare uso per incrementare le prospettive di crescita. Il mercato, quindi, evolverà assecondando nuove possibilità e nuove necessità.
Questa prospettiva per un verso potrebbe aprire nuove occasioni lavorative nel settore tecnico-informatico (dato che le forme di intelligenza artificiale richiedono complesse fasi di sviluppo e manutenzione), per l’altro potrebbe però incidere negativamente sulla domanda di determinate figure e professioni.
Da qui, una seconda questione: come l’intelligenza artificiale impatterà sull’istruzione e la formazione. È già oggetto di dibattito l’utilizzo che molti studenti fanno dell’IA nella loro vita quotidiana, anche per aiutarsi nelle consegne loro assegnate. A tal proposito, probabilmente un primo fondamentale rimedio è la consapevolezza: le consegne sono assegnate allo studente nel suo precipuo interesse, perché possa crescere, sviluppare capacità e maturare. L’elusione dei compiti assegnati dunque – con qualsiasi tecnica – è e resta una fonte di danno principalmente per lo studente. Un fondamentale compito del docente dovrebbe essere trasmettere questa consapevolezza, piuttosto che demonizzare gli strumenti facilitatori. In ogni caso, tracce e consegne dovrebbero comunque essere elaborate in modo da valorizzare le capacità critiche dello studente, più difficilmente sostituibili dalle forme di intelligenza artificiale.
Sotto un secondo profilo, occorrerà tenere conto che l’IA e più in generale la tecnologia saranno sempre più comunemente e facilmente disponibili per i professionisti e i lavoratori di domani, il che cambierà la struttura e la qualità delle loro mansioni. Una tale prospettiva potrebbe sollecitare una razionale modellazione plastica della formazione soprattutto in ambito professionale, chiamata dunque a fornire strumenti sempre aggiornati e innovativi, tenendo conto delle cangianti esigenze e caratteristiche della società. In tutti i casi, la didattica di domani dovrà confrontarsi con la disponibilità di tali strumenti, concentrandosi nel fornire conoscenze, competenze e capacità che rendano comunque indipendenti, maturi e autonomi. In questa cornice, piuttosto che demonizzare con pregiudizio i nuovi strumenti tecnologici, occorrerà veicolarne l’utilizzo consapevole e razionale.
Sempre con riguardo all’ambito tecnologico, una questione particolarmente controversa riguarda poi lo spazio da riservare alla formazione “a distanza” nel futuro della didattica. Sicuramente essa si rivela strumento utile con riguardo ad alcune ipotesi specifiche: ad esempio nei corsi dedicati ai lavoratori e più in generali a studenti part time, cui non sarebbe possibile attendere agli ordinari impegni dei corsi in presenza. Con riguardo al percorso di studi ordinario per gli studenti a tempo pieno, invece, il discorso si profila assai più complesso e la frequenza in presenza costituisce un’opzione complessivamente più poliedrica, offrendo la possibilità di vivere l’esperienza didattica nella sua pienezza, di interagire con il formatore, di partecipare alle attività laboratoriali, di condividere con i colleghi e compagni momenti costruttivi e produttivi. Su questo fronte, dovrebbe anche lavorarsi nel senso di offrire corsi di studio, almeno per gli studenti a tempo pieno – nei limiti del possibile e dell’utile – arricchiti da esperienze pratiche, laboratori, teamwork che valorizzino al massimo la compresenza.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni
Ph.D. Researcher in Scienze Giuridiche e Politiche a Roma. Avvocato con esperienze da giudice arbitro e redattore in varie riviste giuridiche. È autore di oltre cinquanta articoli in materia giuridica, nonché di un editoriale in lingua inglese per la NEU.