Come fosse ieri. Lo ricordo veramente come fosse ieri.
Ero piccola e mia nonna aveva tantissime “riviste” in bianco e nero, con la carta un po’ grigiastra e ci scriveva sopra. Non capivo perché c’erano questi quadratini in cui lei scriveva le lettere a penna e probabilmente pensavo solo che gli adulti facessero cose strane con la scrittura. Mica si scrive sui giornali?
Un giorno la aprì davanti a me, la sfogliò, mi indicò una pagina sulla sinistra e mi disse Tieni qua, conta con me e unisci i numeri in ordine.
Uno, due, tre… Non trovo il sedici, nonna! Me lo indicò, feci una diagonale un po’ storta e alla fine riuscii a comporre il disegno: era un calzolaio o un signore con un martello. Non so. Erano tutte rappresentazioni di lavori manuali, secondo me, quelle che uscivano fuori dal gioco che ho sempre chiamato Unisci i puntinie che solo ora, che ho aperto la prima Settimana Enigmistica che ho trovato a casa, ho scoperto chiamarsi La pista cifrata.
Poi iniziai a colorare gli spazi, nel gioco di fianco, ma per la mia incapacità di portare a termine i progetti non ho mai completato un disegno colorando i pezzi con i puntini dentro. Mai.
Successivamente arrivò il tempo in cui mi dilettavo a leggere praticamente tutto: da ogni tipo di insegna che vedevo per strada durante qualunque tratto percorso in macchina a tutte le barzellette di tutti i numeri della Settimana che nonna acculava sul tavolino e poi sugli scaffali. Alcune non le capivo ancora, tipo quelle in cui c’era uno strano sarcasmo tra moglie e marito. Perché si detestano? mi domandavo. E perché li disegnano con questi nasi enormi? mi chiedo ancora.
Non so dire con precisione quando è successo che abbiamo cominciato a fare insieme le parole crociate; avrò avuto poco più di dieci anni e ricordo soltanto che nonna mi sembrava – come effettivamente era – bravissima, mentre io sapevo fare solo “La fine di Anselmo: mo”. Ancora oggi ho dubbi sulla risposta di “Vi precedono in impavido”… bisogna scrivere PA o DO?Ci sedevamo una accanto all’altra, a casa di zia al mare, tra la porta d’ingresso e la siepe, alla fine della salita, dove passa di più l’aria il pomeriggio. Nonna sapeva tutto e io la guardavo con ammirazione sognando di diventare una persona con così tante e diversificate conoscenze.
Del Sudoku, però, nonna non me ne volere, la regina indiscussa ero io. D’estate, quando facevamo il campo-scuola, io e un mio amico facevamo a gara a chi terminasse prima il sudoku ad alto livello di difficoltà ed è inutile che io stia qui a specificare che a vincere era la sottoscritta.
Chissà poi a che età io, ragazzina emancipata, mi sono recata per la prima volta in edicola e, tirando i soldi fuori dalla mia tasca, ho chiesto impettita La settimana enigmistica, grazie. Credo di essermi sentita più grande della prima volta in cui ho comprato un pacchetto di sigarette (…più intelligente lo sono stata di sicuro!). Quando la Settimana era mia – e per questo mi sentivo fortemente responsabile e, aggiungerei, un pizzico intellettuale – ho cominciato a prestare maggiore attenzione a tutti i giochi in essa contenuti. I rebus, le crittografate, il bersaglio, il calcolo enigmatico. Non li facevo e non li faccio tutti, ma mi piaceva e mi piace capire cosa richiedono. Solo quando mi annoio ne sperimento uno nuovo ma con la rigorosa eccezione delle parole crociate facilitate; quelle mi rifiuto di farle perché di aiuti non ne voglio sebbene non siano lontani i tempi in cui imbrogliavo andando a spiare la soluzione a pagina 46.
Il mio preferito, invece, oltre al grande amore della mia vita sudoku, è l’enigma poliziesco e il momento in cui mi piace di più farlo è quando l’aereo è decollato e facciamo a gara a chi indovina prima la soluzione. È una specie di rito portafortuna che se manca sembra quasi che il viaggio non possa cominciare.
Ecco, da questo mi viene in mente una giusta definizione che posso personalmente dare alla Settimana Enigmistica: un viaggio. Un lungo e articolato viaggio a più livelli. È, innanzitutto, il viaggio tra l’infanzia e i primi momenti di libertà adolescenziale, quella sana. È, inoltre, in ognuna delle fasi della vita una sfida con sé stessi: da piccoli è una sfida a finire il gioco; da grandi diventa una sfida ad iniziarlo, il gioco, a prendersi del tempo lontano da tutti e rimanere a sentire il proprio respiro che pensa solo alla soluzione del gioco e a niente più.
È un viaggio nei ricordi ed è il ricordo di un viaggio. La Settimana Enigmistica l’ho portata in giro in quelle poche parti di mondo che ho visitato, è entrata con me nelle tante case che ho abitato, l’ho riposta tra gli infiniti libri che ho studiato. Ma non solo…
Sapessi, nonna, quanto mi è stata utile la Settimana enigmistica nei giorni del concorso, quando al Ministero eravamo in 60 in una stanza senza telefoni in attesa degli esiti delle prove attitudinali. Ero agitata e, quasi fosse un mantra, la aprivo ed era come se tu fossi con me. E quel piccolo giornaletto che da piccola mi sembrava così strano è stato in grado di creare aggregazione tra tutti quei ragazzi un po’ stanchi e in ansia che hanno avuto un’occasione per sorridere facendo insieme, semplicemente, le parole crociate.
Il 23 gennaio 1932 usciva il primo numero della settimana enigmistica. Mia nonna sarebbe nata l’anno dopo. A distanza di 88 anni mia nonna non c’è più, mentre questa settimana è uscito il quattromilacinquecentottanduesimo numero del “passatempo più sano ed economico” d’Italia.
La vita cambia e le cose passano ma le parole crociate, quelle serie, restano ed insieme a loro, incasellati in orizzontale e verticale, restano tutti i ricordi che non si possono scrivere sui giornali.
Classe ‘93. Laureata in Giurisprudenza con la passione per il principio di uguaglianza. Simpatica, creativa, alla mano, decisamente disordinata. Ultima ricerca su google: si può essere dipendenti dalla maionese?