Gabriele Romagnoli è tornato dal suo funerale e ha deciso di condividere, attraverso il romanzo autobiografico “Solo bagaglio a mano”, quello che ha imparato.
Il titolo dell’opera dà un indizio importante al lettore. Ipotizziamo di perdere il nostro bagaglio in aeroporto: una volta a casa, quanti oggetti ci mancherebbero davvero? Pochi, forse nessuno.
E il bagaglio a mano non è solo una provocazione, è anche una metafora ed un esperimento. Nei suoi numerosi viaggi, Romagnoli ha imparato che quanto più è piccolo il bagaglio, tanto più è esperto il viaggiatore, che sa selezionare il necessario in relazione alla meta ed al tempo di permanenza. Perciò, il grande viaggiatore avrà un trolley, o meglio ancora uno zaino, ed il viaggiatore piccolo o poco esperto avrà con sé un bagaglio di grandi dimensioni. Questo concetto di base accompagna anche la scelta dell’oggetto: secondo Romagnoli, “deve avere delle tasche nascoste perché tutti abbiamo da nascondere qualcosa. Deve avere il giusto numero di scomparti per dividere ordinatamente tutto ciò che serve”.
Ma questo libro parla anche di dinamismo, di cambiamento. A Kibali, capitale del Ruana, Romagnoli ha osservato il frenetico andirivieni di persone. Ha scoperto che quella fretta di andare chissà dove, chissà perché, nasceva in una terra dilaniata dalla guerra civile, in cui i bersagli mobili – veloci, per l’appunto – sono più difficile da colpire per i cecchini. Per questo bisogna continuare a muoversi, conoscere bene sé stessi e rinnovarsi, verso nuove strade.
Strade, appunto, che possono portare ovunque. E portano Romagnoli in Corea del Sud, Paese ai primi posti della classifica per il numero più alto dei suicidi stilata dal Financial Times. Nel 2013, si contavano circa trentatré suicidi al giorno. E per prevenire il fenomeno, l’organizzazione Korea Life Consulting mette in atto un singolare rito-esperimento: finti funerali, catartici per i possibili aspiranti suicidi. Tra i clienti dell’organizzazione, anche aziende come Allianz e Samsung, disposte a pagare somme considerevoli e a sopportare sacrifici di ore di lavoro per un metaforico addio a sé stessi, nella speranza che non ve ne sia uno reale. Romagnoli stesso prende parte all’esperimento, viene accolto con garbo e prende visione di lucidi esplicativi. Gli viene concesso del tempo per fare testamento, ma solo mezz’ora, per potersi concentrare sulle cose e sulle persone più importanti. Infine, viene messo in una bara di legno, assistendo così al personale e sobrio rito funebre. Al termine della prova, una voce annuncia “Ora sei pronto a rinascere”. Romagnoli apre gli occhi, non scorge più il buio di una cassa in Corea del Sud. Il cielo grigio è lo stesso di prima, il tè che gli viene offerto ha lo stesso sapore che aveva prima dell’esperimento. Cos’è cambiato, allora? È pronto a morire? No. E non ha scelta, ma “finché non è finita, non è finita. E anche allora, può sempre ricominciare”.
Non si tratta di un manuale di resistenza umana, né del prologo alla creazione di una specie leggera e resistente: questo libricino, che starebbe perfettamente in uno zaino da viaggio, è in realtà un invito alla rivoluzione del sé. È un palpabile inno alla gioia, un invito a godere di più di 46 ore di felicità nel corso della vita, in sintonia con l’esistenza stessa.
Perché, come scriveva Italo Calvino, “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. È, ad esempio, solo bagaglio a mano.