Anche Mamma Rai nel mirino del rottamatore Renzi. L’attacco ai ‘poteri forti’ investe questa volta il Servizio Pubblico ed è di ben 150 milioni il contributo che il governo richiede per aiutare il Paese ad uscire dalla crisi. Tagliare sembra essere la parola d’ordine, ma piuttosto che ridurre gli stipendi di tanti super dirigenti o eliminare qualche programma strapagato, il premier ha puntato dritto all’informazione regionale, additandola come la causa degli sprechi dell’azienda.
Con l’approvazione di molti conduttori e presentatori, preoccupati di salvare i propri programmi e il proprio stipendio, Renzi sembra aver ottenuto anche l’appoggio di alcuni dirigenti, prima fra tutti la Berlinguer, che si sono dissociati dallo sciopero che l’Usigrai aveva programmato per l’11 giugno, ma che ha finito per revocare. I 150 milioni non costituiscono un problema, sostiene il Sindacato Rai, ma possono essere recuperati con una riorganizzazione della gestione dell’azienda e con una lotta mirata all’evasione del canone, senza alcuna necessità di intervenire sull’informazione regionale. Senza contare che se il governo, per giunta un governo di sinistra, togliesse in modo indiscriminato soldi al servizio pubblico, si creerebbe un precedente potenzialmente pericoloso per la sopravvivenza dell’azienda e dell’informazione italiana.
In Europa non sembra che le sedi regionali godano di scarsa considerazione come in Italia. La Germania ad esempio basa su di esse tutto il suo sistema informativo, ed è a partire da queste sedi e dai loro dirigenti che si crea l’informazione a livello nazionale. La Bbc invece nomina in ogni regione un National Broadcasting Council (Nbc), con il compito di andare incontro agli interessi specifici di ogni territorio. E’ chiaro che ciò che è notizia per un cittadino di Oxford può non avere rilevanza per uno di Glasgow.
E’ allora saggio limitare la prospettiva dell’informazione a Roma? E’ Roma in grado di produrre un’informazione variegata che vada incontro agli interessi tanto dei lombardi quanto dei siciliani? E lo spreco della Rai sta nel mantenere le sedi regionali o nel fatto che le potenzialità di quelle sedi non sono sfruttate, a favore di un accentramento romano che sembra favorire solo programmi come Agorà e La vita in diretta?
Il premier Renzi non deve essersi posto troppe domande, pur di accontentare chi a lui inneggia come al rinnovatore di un Paese vecchio e corrotto. Ma forse quando si tratta di servizio pubblico un’attenta considerazione delle posta in gioco risulta necessaria.
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