Una domanda sorge spontanea in questo particolare lunedì appena trascorso, segnato in rosso sul calendario, a sottolineare che si garantisce riposo a tutti i lavoratori senza distinzioni: la festa del Primo maggio, oggi, cosa rappresenta davvero per i lavoratori?
A questa domanda apparentemente scontata risponde Maurizio, 30 anni dipendente da 12 in un negozio di elettrodomestici di un centro commerciale: «Oggi questo per me è solo un lunedì, esattamente uguale a quello precedente e a quello successivo. Io lavoro perché devo, ma non condivido affatto che oggi io sia qui a servire molti più clienti dei giorni normali». Risponde anche Benedetta, 29 anni, da 10 proprietaria di un ristorante: «Oggi lavoriamo, eppure noi di solito il lunedì siamo chiusi, ma si sa che le persone quando sono libere non hanno voglia di cucinare e preferiscono accomodarsi e farsi coccolare». Anita, che di anni ne ha 28 ed è barista da 15, dice che «Questo giorno è un’altra data che è in rosso solo sul calendario, non per me che lavoro ogni domenica e ogni festivo». Ci dice la sua anche Pier Filippo, che fa il vigilante privato da quando aveva 20 anni e oggi ne ha 33: «Il Primo maggio è la festa degli altri, non la mia. Possono riposare i privilegiati perché per me, che lavoro in un settore privato, questo è solo un giorno che permette loro di riposare mentre io garantisco che qui tutto sia sotto controllo».
Sono solo poche testimonianze, ma bastano per far capire il senso della domanda iniziale. Il Primo maggio per molti lavoratori non rappresenta più nulla: non si festeggiano i diritti dei lavoratori che nel tempo sono stati conquistati grazie a lotte e atti di coraggio, non garantisce una giornata di riposo né un momento di unione con gli altri lavoratori ed è proprio questo l’aspetto che fa riflettere. Si è creata nel tempo una divisione tra coloro che possono dire di essere lavoratori perché il Primo maggio riposano e quelli che invece in questa giornata lavorano. Sembra quasi che questa data appartenga a una fetta privilegiata che tende a escludere tutti gli altri. Dunque, coloro che sono costretti a lavorare oggi solo perché rientrano in un sistema in cui la loro presenza dipende dalla scelta dai loro datori di lavoro o dalla turnistica, sono da considerare persone meno valide, meno indefesse, meno meritevoli, in qualche modo “minori” rispetto a chi invece oggi festeggia? Chi lo ha deciso? Queste sono domande le cui risposte affondano le radici nei meccanismi di espansione selvaggia del mercato e nelle manovre politiche e sociali che da decenni si muovono per offrire sempre qualcosa in più alla società consumistica che viviamo. Non è un caso che oggi i centri commerciali, i bar e ristoranti siano pieni, più del solito. Moltissimi cittadini celebrano questa giornata spendendo soldi andando a fare un giro al chiuso di un centro commerciale, magari senza avere neanche l’esigenza di dover acquistare qualcosa, ma semplicemente per curiosare e infine cedere alla tentazione di spendere e comprare. Basterebbe ricordare che questa giornata nasce per festeggiare la riduzione della giornata lavorativa a “sole” otto ore. E mentre questa conquista accadeva nel 1886, oggi possiamo visitare store che sono aperti ininterrottamente dalle 9:00 alle 21:00, cioè dodici intere ore. Ne restano 8 di sonno, almeno questo è il tempo giusto per una sana dormita e, dunque, ne avanzano 4 da dedicare alla propria famiglia, alle amicizie, allo sport e ai propri interessi. Insomma 4 ore su 24 da dedicare alla propria vita. Questo dovrebbe forse essere un buon risultato? A questa domanda potrebbe rispondere il sociologo Zygmunt Bauman che nel saggio “La società dell’Incertezza” scrive «Se tra i nostri antenati filosofi, poeti e predicatori si ponevano la questione se si lavorasse per vivere o si vivesse per lavorare, il dilemma che più spesso si sente rimuginare oggi è se si abbia bisogno di consumare per vivere o se si viva per consumare. Qualora si sia ancora capaci di separare il vivere e il consumare, e se ne senta la necessità».
Il Primo maggio nella teoria è la giornata in cui si festeggia l’unione dei lavoratori, il raggiungimento dei pari diritti poiché il lavoro pulito riesce a dare una dignità ad ogni essere umano. Nella pratica, di contro, in questa giornata non tutti sono trattati allo stesso modo: Pier Filippo, Anita, Maurizio e Benedetta e insieme a loro tantissimi altri giovani lavoratori, lavorano affinché gli altri possano godere della libertà che offre questa data. Probabilmente dovremmo riconoscerlo e ricordarcene. Forse dovremmo sentirci uniti davvero per ripetere con coraggio quanto accaduto nel 1886 poiché, nonostante sia passato un intero secolo, il traguardo di essere riconosciuti egualmente lavoratori sembra ancora troppo lontano.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni
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