Se ti fai eleggere puoi parlare, se non ti fai eleggere non puoi parlare.
Quante volte abbiamo sentito questo leitmotiv ripetersi nei discorsi di tutti coloro che come hobby ormai praticano la politica dell’insulto. E quante volte abbiamo sentito gli stessi riempirsi la bocca di parole come “legittimazione” o “popolo”, travisandone completamente il senso e utilizzandole – decontestualizzate – come jolly per ogni occasione.
Insomma, se ti fai eleggere puoi parlare – perché ‘legittimato’ (secondo un uso improprio del termine) – e se, invece, non ti fai eleggere, la tua espressione spontanea non può interessare il dibattito politico nazionale, perché non sei nessuno o, peggio, sei un agitatore di folle manovrato da questo o quel potere forte.
Quanto premesso è utile a inquadrare ciò che sta accadendo con il movimento delle Sardine. Dotarsi di una compiuta strutturazione politica è un’arma a doppio taglio, e lo sanno anche loro: da una parte, senz’altro le doterebbe di una ‘legittimazione’ intrinseca, dall’altra le renderebbe vittima dell’assurdo ma attuale giogo politico, per cui tanto puoi parlare in quanto ti votano. Da qui questo eterno navigare tra ipotesi di congresso nazionale, che dovrebbe tenersi a marzo, e dichiarazioni rassicuranti del tipo “Non faremo un partito!”.
La voce principale delle Sardine, Mattia Santori, ha dichiarato che si tratterà non di un vero e proprio congresso, quanto di una “due giorni di sintesi per ripartire lavorando sulla dimensione nazionale”, a seguito delle elezioni regionali in Emilia e del primo confronto tra i referenti del movimento, avvenuto a Roma il 15 dicembre scorso. Tuttavia, anche qui, Santori ha affermato chiaramente che sicuramente non si farà un partito delle Sardine.
A questo punto, una riflessione: ciò che ha distinto le Sardine da tutti gli altri movimenti (più o meno) spontanei, alla cui nascita abbiamo assistito nel corso degli anni – vedasi i girotondi, o il Movimento 5 Stelle – è stato il fatto di emergere non cavalcando la demonizzazione dei partiti o delle dinamiche parlamentari; si tratta del primo movimento popolare che va in piazza non per odio, ma per svegliare gli animi intorpiditi di tutti (si badi, tutti) gli esponenti politici di quell’area che potremmo definire come ‘liberale e riformista’, da contrapporre a quella ‘conservatrice’ che prende sempre più piede. Le Sardine nascono come un’espressione della società civile, ne sono una costola e – per dirla con il Presidente emerito della Consulta Cassese – già solo per questo andrebbero ascoltati, perché “promossi” dalla Costituzione. Nascono dal popolo, ma non sono populisti, bensì popolari. E ogni movimento popolare o sociale costituisce un modulo organizzativo della società civile, del cui scarso apporto e interesse verso il dibattito pubblico ci si è ultimamente tanto lamentati. Ora, invece, il coinvolgimento della società civile sembra quasi faccia paura, e questo – presumibilmente – perché porterebbe ad una crescita generalizzata della consapevolezza sociale, acerrima nemica dei leoni da piazza e da tastiera.
E allora perché specificare, fino alla noia, che le Sardine non diventeranno un partito politico? Liberissimi di non farlo, ma perché scivolare sul terreno sdrucciolevole dell’antipartitismo acritico? Quella che i giuristi inglesi chiamerebbero platform, e cioè l’elemento portante di un soggetto politico, forse arriverà anche per le Sardine, ma non è questo il momento e, comunque, non è ciò che conta.
Ciò che riescono a fare le Sardine è non confinarsi nel web, non tradursi in un sondaggio su Facebook e non ritenersi legittimati da un numero (manipolabile) di like. Le Sardine partono dal web ma si riuniscono in piazza, in un luogo fisico, aperto a tutti.
Anche questo fa paura: fa paura al MoVimento 5 Stelle, che oggi strizza l’occhio alle Sardine, quasi con la saggezza del fratello maggiore, ma allo stesso tempo non può non rendersi conto di come in una sola sera le stesse abbiano smontato il mito del partito-piattaforma o del partito-cloud. Fa paura al Partito Democratico, che agogna una resurrezione, ma sa bene che le Sardine non potranno mai ridursi ad essere l’ala movimentista del nuovo corso zingarettiano. Fa paura a Renzi, che vorrebbe inglobare le Sardine nella sua Italia Viva, ma che non considera l’evidente incompatibilità di una piazza eterogenea con un partito aggrappato alle idee e alla personalità di un solo leader, con una sola voce. Fa paura, poi, all’intero centrodestra, Meloni e Salvini in primis, ed è chiaro il perché: erano convinti che la loro retorica reazionaria e di chiusura fosse imbattibile da un punto di vista di social marketing. Ne erano convinti fino al 15 novembre, quando Piazza Maggiore a Bologna si è riempita di Sardine mentre il Capitano arringava il Pala Dozza per l’apertura della campagna elettorale in Emilia-Romagna.
In particolare, la Bestia – la macchina di promozione e diffusione online dei contenuti della Lega – non aveva mai subito scossoni di tipo mediatico, compensando la mancanza contenutistica e programmatica con l’indubbia supremazia comunicativa. E invece, proprio la connessione, il ponte che le Sardine hanno creato tra la rete e la piazza li rende un oggetto misterioso, contro cui la Bestia non ha trovato e non trova strumenti di confronto: ci ha provato con i gattini mangiatori di sardine, ma probabilmente l’immagine famelica del felino mal si compone con la retorica dell’uomo qualunque; ci ha provato tentando di far passare i promotori delle Sardine come marionette di Prodi, piuttosto che di Franceschini o di Bersani; allora sono arrivati i Pinguini, non rivendicati dalla Bestia, ma il cui meccanismo di diffusione online sembra oltremodo familiare. Collegati al Movimento Uniti per la Destra, dopo la chiusura della prima pagina Facebook, sono spuntati in ogni dove, proprio come accaduto con molte pagine sostenitrici di Salvini. In alcune di queste pagine, si legge esplicitamente che è vietato iscriversi alle stesse se si è contro alle idee sovraniste del leader della Lega. Neanche i Pinguini, comunque, sembrano uno strumento utile a combattere le Sardine, proprio per quello che si diceva pocanzi rispetto al collegamento tra virtuale e reale, collegamento del tutto assente nelle campagne sovraniste, tanto seguite online, ma quasi motivo di imbarazzo per i loro stessi sostenitori, quando interpellati dal vivo.
Questa è la forza delle Sardine, essere l’antidoto all’odio sovranista e alla manipolazione delle informazioni.
Noi tutti, come cittadini, elettori, individui, dovremmo smetterla di avere paura della politica. La sviante narrazione che quotidianamente se ne fa, per cui la politica sarebbe il male assoluto, i politici accessori per poltrone e la democrazia parlamentare un vetusto meccanismo al servizio di un “sistema che si difende da sé”, attecchisce laddove c’è retorica violenta e non-coscienza civile.
No, Sardine, non cadete in questo gioco: che sarete un partito o meno non è il punto della questione. Il punto è che non ci sarebbe alcun male nel diventarlo, come non ce ne sarebbe alcuno nel non diventarlo.
Articolo già pubblicato sul Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia di lunedì 20/01/2020
Del ‘93, a Roma da molti anni, non perde le sue radici orgogliosamente sannite. Praticante avvocato, grafomane, rincorre da anni la possibilità di definirsi musicista. Molto creativo, riflessivo e incredibilmente curioso. Vive tra le nuvole, e ci sta bene.