Non solo intrattenimento: come le serie tv ci insegnano a stare al mondo
Stiamo vivendo un momento molto felice sul fronte delle serie televisive: ne esistono di tutti i generi e oramai molte barriere, tra cui quelle riguardanti la sfera sessuale, il true crime, le patologie psichiatriche, sono state finalmente abbattute. Abbiamo libero accesso a qualsiasi cosa ci venga in mente e non dobbiamo mettere insieme i pezzi: qualcuno ce la racconterà. E, come dice uno dei personaggi di Game of thrones, Tyrion Lannister: «Cosa unisce le persone? Armate? Oro? Vessilli? No, storie. Non c’è niente di più potente di una buona storia». Chi più, chi meno, siamo ascoltatori nati, ci facciamo incantare dai narratori ed è per questo che, a differenza dei film, le serie televisive hanno un impatto differente su di noi, entrando di forza nel nostro ménage quotidiano. Le serie non ci fanno soltanto della banale compagnia, ma si addentrano nel nostro modus vivendi fino a modificarlo. La psicologa clinica e dottoressa dell’Unesp, Deborah Perez, infatti, afferma che le produzioni audiovisive ci aiutano a modellare la nostra personalità: «L’uomo è quello che è nel suo stare al mondo: agire, produrre, consumare, avere rapporti […]. In tal modo, esiste influenza diretta del prodotto mediatico sulla nostra soggettività». Ma come si manifesta nella pratica tutto questo? Tramite l’educazione. Educare, dal latino ex ducere («tirare fuori»), è il processo che fa emergere le nostre peculiarità positive e negative, le nostre motivazioni, i nostri desideri: prima si rivelano e poi vengono indirizzati. Molti studi hanno attestato che le arti visive hanno un impatto maggiore sul nostro lato cognitivo, ragion per cui si può imparare molto più rapidamente da una serie televisiva che ci coinvolge e quasi crea dipendenza, che da una lezione teorica in classe.
Per quanto riguarda l’aggregazione e la capacità di scandagliare i sentimenti, pensiamo a How i met your mother, famosissima sit-com statunitense di Craig Thomas e Carter Bays. Nell’anno 2030, il protagonista, Ted Mosby, inizia a raccontare ai suoi due figli la storia dell’incontro con la loro madre e questa narrazione si protrarrà per ben 9 stagioni. Il fulcro di questa serie è in realtà l’amicizia: d’altra parte, tutto ruota intorno ai cinque personaggi principali, Barney, Ted, Marshall, Lily e Robin. Tra elementi surreali e situazioni che chiunque di noi ha vissuto, le dinamiche umane e sociali si invertono continuamente, mutano, ci sorprendono. HIMYM è cresciuta assieme a noi, dandoci due grandi lezioni: da una parte, l’amicizia ci insegna la lealtà e anche la sofferenza; dall’altra, impariamo che ogni cosa si evolve e cambia inevitabilmente. Tuttavia, anche se può sembrare triste diventare grandi e allontanarsi, siamo in realtà figli di ciò che abbiamo dato e ricevuto. Di conseguenza, l’amicizia ci rende chi siamo oggi. Può sembrare assurdo che una semplice sit-com impartisca questa educazione sentimentale, eppure è proprio così.
È anche bello notare quanto siano diversi gli adolescenti e gli adulti degli anni Novanta rispetto a quelli di oggi. Le serie televisive hanno sottolineato con forza anche questo aspetto, ma come? In parte, anche con i reboot: si pensi alla sit-com del 1996 Sabrina, vita da strega, la cui protagonista è una semplice ragazza americana che, in occasione del suo sedicesimo compleanno, viene informata dalle zie Hilda e Zelda di essere per metà strega e, pertanto, da qui in poi dovrà imparare a controllare i suoi poteri. La serie è davvero un prodotto della sua epoca: dalle risate fuori campo al gatto parlante Salem, che è un pupazzo dozzinale (e, proprio per questo, divenne subito iconico), tutto si svolge in un clima simpatico e ingenuo, perfetto per il primo pomeriggio televisivo. Nel 2018 è uscita su Netflix la nuova serie Le terrificanti avventure di Sabrina. La storia è sempre la stessa ma raccontata e recitata in chiave horror e paranormale: ci sono scene di morte e sesso esplicite, anche i set sono caratterizzati da un’ambientazione gotica, si parla esplicitamente di Satana, i dialoghi non sono per niente candidi. Tutto, in questa serie, grida che siamo negli anni 2000 ed è giusto che sia così nuda perché l’educazione ha molte porte e passa attraverso il progresso: rifare una serie attenendosi totalmente a quella originale, senza considerare il contesto attuale, sarebbe stato un fallimento.
Le serie, dunque, ci dicono che siamo cambiati, così come il nostro modo di apprendere nozioni e ascoltare racconti. Eppure, c’è anche un altro punto di vista da considerare: l’immersione. Quello che ci riguarda, in quanto esseri umani, non è soltanto legato a ciò che ci accade nella realtà, ma anche all’empatia. E ciò avviene in circostanze paradossali che, con tutta probabilità, non vivremo mai: pensiamo a un capolavoro assoluto come Breaking Bad, la serie statunitense di Vince Gilligan il cui tratto distintivo è la rivoluzione improvvisa vissuta dal protagonista, Walter White, un remissivo professore di chimica. Nel momento in cui scopre di avere un cancro ai polmoni, gli scenari possibili sono tre: la disperazione, la depressione o la fede. E invece, White comincia a cucinare metanfetamina con Jesse Pinkman, un suo ex studente. È proprio in questi casi che emerge l’elasticità dell’educazione: è ovvio che non ci serva a conoscere la droga. Più semplicemente, impariamo ad entrare in empatia con qualcosa di totalmente distante da noi. Di questa serie è stato girato anche il prequel, del quale sono in uscita gli ultimi episodi della stagione finale: Better call Saul. Si tratta dello spin-off di uno dei personaggi più stravaganti e geniali di BB che non solo è stato diretto magistralmente, ma è la conferma che abbiamo la fortuna di immergerci in storie incredibili, rendendole nostre: non c’è bisogno che si parli di fatti strettamente legati a noi per farci sussultare e seguire una vicenda che dura da ben 14 anni.
In conclusione, possiamo dire che le serie televisive hanno il potere di accostarci alla vita o comunque alle emozioni, a patto di essere abbastanza aperti mentalmente da far nostro tutto questo.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni