Riconoscere e tutelare il patrimonio culturale “immateriale”: una sfida sempre più attuale per la cultura nella società fluida

L’Italia è storicamente riconosciuta come detentrice di un immenso patrimonio culturale, unico al mondo. Quando si pensa a tale patrimonio di norma si immaginano oggetti e luoghi necessariamente materiali, ma la cultura in realtà spesso assume forme anche intangibili, incorporee e metafisiche.
Con questa consapevolezza, nel 2003 l’UNESCO ha approvato la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, un trattato che mira ad assicurare tutela anche alle forme “intangibili” di cultura, quali testimonianze della civiltà da preservare e tramandare.
Ai sensi della Convenzione, il patrimonio immateriale comprende prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e abilità che comunità, gruppi e individui riconoscono come parte della loro cultura. Rientrano quindi nel patrimonio immateriale anche le tradizioni, le consuetudini e persino il “know-how”, il saper fare, quando rappresentino una traccia culturale della società meritevole di protezione.
La Convenzione prevede la costituzione di una Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale (Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity), in cui ciascuno stato può inserire, secondo determinate regole, quanto ritiene rappresentativo della propria identità culturale. La lista contribuisce a dimostrare la diversità del patrimonio intangibile, con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema l’intera comunità globale.
L’Italia ha iscritto nella lista una molteplicità di elementi: l’alpinismo, la transumanza del bestiame, la cavatura del tartufo, l’arte delle “perle di vetro” (cioè la metodologia classica di lavorazione del vetro mediante il fuoco, tipica ad esempio di Murano, Burano, Torcello e Pellestrina), l’Opera dei Pupi Siciliani (ossia il caratteristico teatro delle marionette nato in Sicilia all’inizio del XIX secolo), il canto a tenore sardo, ma anche il “saper fare” dei liutai cremonesi (ossia la sapienza artigiana degli speciali creatori di strumenti in legno dell’area di Cremona, che realizzano opere uniche attraverso l’assemblaggio a mano di oltre 70 elementi), la particolare tecnica tradizionale di coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, la falconeria, l’arte dei muretti a secco (ossia la realizzazione di murature sovrapponendo semplicemente le pietre), la maestria musicale dei suonatori di corno da caccia, nonché da ultimo nel 2023 il canto lirico.
Esempi particolarmente significativi di elementi del patrimonio culturale immateriale che l’Italia ha inserito nella lista si collegano poi all’universo enogastronomico, coniugando la dimensione schiettamente culturale con il vasto – e oggi attualissimo – tema del food, in ottica anche e soprattutto internazionale. L’Italia ha inserito nella lista la dieta mediterranea, non come mero elenco di cibi o regime alimentare, ma come stile di vita e come insieme di saperi, tradizioni, conoscenze, simboli che iniziano sin dalla coltivazione, dalla pesca e dall’allevamento, proseguono nella fase della “cucina” e della preparazione del pasto e giungono fino al momento della sua consumazione, ad esempio nella condivisione con i commensali. Si tratta di un elemento culturale dichiaratamente transnazionale, che interessa anche Cipro, Croazia, Grecia, Marocco, Spagna e Portogallo. Ancora, l’Italia ha iscritto in lista “l’arte del pizzaiuolo napoletano”, cioè quell’insieme di saperi, di gestualità e di manualità, ma anche di simboli, di tradizioni e di sentimenti collegati alla pizza.
L’Italia ha ratificato la Convenzione UNESCO nel settembre 2007 e da allora ha promosso diverse iniziative sul tema anche a livello nazionale. Manca però ancora oggi, almeno in una parte dell’opinione pubblica, la consapevolezza che il patrimonio culturale non necessariamente debba incorporarsi in beni fisici tangibili, ma possa avere anche dimensione completamente metafisica.
La tutela del patrimonio culturale immateriale costituisce oggi una sfida complessa e delicata. Conservare e tramandare un elemento “immateriale” richiede infatti il contributo attivo, costante e propositivo degli individui, la loro compartecipazione emotiva con un’intenzione profonda e autentica. Mentre per la preservazione dei beni materiali talvolta può risultare sufficiente lo stoccaggio in luoghi protetti, per conservare una tradizione, un’arte, un sapere è necessario che le persone cooperino condividendolo, che qualcuno tramandi e qualcuno voglia “ricevere”. Si tratta di un tema sempre più attuale, perché conservare e trasmettere gli elementi culturali intangibili provenienti dal passato è particolarmente difficile in una società fluida, liquida, in cui condotte, prassi, sentimenti e intenzioni sono in costante evoluzione.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni