Ragazzi in fiamme

Gli eroi d’infanzia hanno influenzato una generazione di ribelli?

Nonostante la bolla mediatica sia scoppiata e, soprattutto in Italia, l’interesse per le proteste legate al movimento Black Lives Matter siano scemate, si tratta di movimenti e fenomeni che meritano ancora ulteriore spazio mediatico e riflessioni. Volendoci concentrare sull’esponenziale affluenza giovanile nelle proteste – in USA la percentuale di manifestanti appartenente alla fascia anagrafica che va dai 18 ai 30 anni rappresenta 41 percento, secondo uno studio del Pew Research Center – non possiamo che constatare quanto sia divenuto esponenzialmente più alto il numero di giovani adulti e adolescenti che praticano attivismo politico e cominciare a chiederci a cosa sia dovuto questo fenomeno e questa crescita.

L’attivismo dei più giovani non è nuovo a critiche e riflessioni, basti guardare alla cultura pop e all’influenza che hanno le masse di fan di cantanti e attori a livello globale: la cosiddetta stan culture crea dei veri e propri squadroni con cui ci si sfida, soprattutto online, per permettere al proprio idolo di acquisire sempre maggiore popolarità, influenzando inevitabilmente non solo il settore dell’intrattenimento, ma anche i consumi e le oscillazioni di mercato. Queste azioni così dirompenti e violente spesso sfociano in vere e propri casi di cronaca e alimentano quasi un timore reverenziale per la categoria. Quando si parla di politica, tuttavia, la questione diventa più complessa, poiché gli stessi meccanismi che portano a “tifare” per il proprio idolo vengono traslati nel commentare procedimenti penali e ingiustizie sociali, tematiche che certamente non possono e non dovrebbero essere trattate con leggerezza.

Il termine woke culture nasce soprattutto per denigrare lo sdegno generato dai giovani per le esternazioni di famosi o i prodotti d’intrattenimento che mostrino tendenze razziste, omofobe o semplicemente superficiali verso categorie discriminate. La prima reazione dei boomer (le generazioni più anziane) a questa rinnovata “sensibilità” per determinati argomenti è stata di sdegno o negligenza, riducendo quelle proteste a una tendenza generale all’offesa facile e alla noia, visto che solitamente i “polveroni” sollevati occupano i famosi quindici minuti di popolarità, che sul web nel nuovo decennio sono diventati tre. Invece, le nuove generazioni si sono dimostrate capaci di un effettivo cambiamento, organizzando proteste a livello mondiale e continuando a imporsi in ogni modo possibile per influenzare la politica.

Si tratta quindi di un fenomeno sociale e culturale in crescita, che potrebbe portare a un nuovo modo di guardare all’attivismo politico, tant’è vero che se prima si faceva riferimento a una generazione indifferente e fannullona, ora la domanda che è stata posta con non poca criticità è: come mai ora sono tutti così interessati alle ingiustizie sociali?

Le risposte dei giovani, via social, ai legittimi dubbi va dal serio al faceto perché è scontato che i periodi di grande fermento sociale la partecipazione attiva aumenti, ma non in modo così esponenziale. Una teoria interessante vuole andare a indagare proprio le influenze culturali e letterarie che possano aver influenzato questa generazione di “ribelli” e si è evoluta in una risposta che è a sua volta in una domanda: potete davvero sorprendervi del nostro attivismo se gli eroi della nostra infanzia sono stati giovani adulti che combattevano attivamente contro un sistema fatto di adulti corrotti?

E se andiamo a guardare ai romanzi, soprattutto del genere distopico, che hanno venduto il maggior numero di copie negli ultimi vent’anni e che hanno maggiormente impattato la cultura popolare si può trovare un comune determinatore. Il boom dei fumetti negli anni Settanta e Ottanta ha promosso l’idea di un eroe (o antieroe) con poteri straordinari, che si mettesse al servizio dei cittadini e del mondo per risolvere i loro problemi, questo può aver influenzato i lettori a una visione del mondo in cui l’ordinarietà non può nulla per cambiare le cose.

Di contro, i romanzi e le saghe cinematografiche degli anni Novanta e Duemila, hanno reso popolari protagonisti, prescelti o meno dal destino, che con poco se non alcun potere avevano la possibilità e la voglia di cambiare le cose una volta che gli adulti mostravano i loro difetti o le loro incapacità. Harry Potter è un mago, ma nella società magica è un mago “ordinario” per molti versi e influisce attivamente nella storia quando capisce che, per quanto minorenne, può condurre una vera rivolta. Un’altra rivolta coinvolge Katniss Everdeen, che ne diventa proprio il simbolo nella saga di Hunger Games e rappresenta un ulteriore esempio calzante perché non ha dirompenti capacità, nel concreto è una giovane donna ordinaria figlia del sistema-mondo che l’ha cresciuta.

È possibile quindi che la nuova generazione, più idealista, sia figlia di questi prodotti culturali?

Secondo Nicola Cosentino, scrittore con un PHD in Politica, cultura e sviluppo – i cui studi si sono focalizzati proprio sulle distopie – il ragionamento è più complesso: “È una tesi interessante perché le distopie young adult più recenti presentano una connotazione politica e d’altra parte le opere di fantasia per ragazzi, quindi non solo le distopie, sono molto cariche di idealismo e senso civico. Ciò è accaduto – spiega Cosentino – perché sono esplose in un momento storico in cui la politica e il linguaggio è cambiato molto e ci siamo ritrovati a dover riconsiderare il nostro rapporto con i diritti civili e anche con l’ambiente, per esempio.”

Sembra, quindi, plausibile o quantomeno ipotizzabile che questo attivismo giovanile sia figlio del graduale ma importante cambiamento sociale e culturale che ci ha coinvolto, che è stato anche influenzato dalle generazioni passate, a cui ora non resta che adeguarsi o stare dal lato sbagliato della storia.

Articolo già pubblicato su Il Quotidiano del Sud- l’Altravoce dei Ventenni il 6/07/2020