Il Cda dell’Aifa, guidato da Giorgio Palù, non ha dato il via libera alla pillola anticoncezionale gratuita per tutte le donne: la questione è stata rinviata alla Cts – commissione tecnico scientifica – e alla Cpr – commissione che si occupa di prezzi e rimborsi.
La novità era attesa da tempo ed è già adottata da molti altri Paesi, ma il Cda dell’Aifa non ha proceduto, come di consueto, all’approvazione di quanto indicato dalle due commissioni. Secondo il comunicato diffuso nei giorni scorsi, “Il Consiglio di amministrazione di Aifa ha preso atto che le commissioni consultive dell’agenzia non hanno ancora elaborato precise indicazioni sulle fasce d’età a cui concedere gratuitamente la pillola anticoncezionale, sulle modalità di distribuzione e sui costi per il Sistema Sanitario Nazionale nei vari scenari di adozione della rimborsabilità”. Le commissioni, in realtà, avevano dato il via libera alla gratuità per tutte le donne e potrebbero non accettare di indicare solo alcune categorie: verrebbero così meno l’innovatività e l’universalità della misura. Il Cda ha precisato che non sussistono gli elementi essenziali per deliberare e che sarà necessaria una ulteriore e adeguata istruttoria. Vi è poi la questione economica: la misura costerebbe circa 140 milioni di euro all’anno (cifra che il Ssn sarebbe in grado di coprire), ma il Cda di Aifa afferma di voler parlare con ministeri e Regioni, operazione non sempre applicata – e non necessaria – quando i farmaci diventano rimborsabili. Il Cda, inoltre, ha chiesto spiegazioni sulla modalità di distribuzione del farmaco anticoncezionale: la Cts non ha fornito indicazioni specifiche in merito perché intenderebbe mantenere il regime attuale di prescrizione, attraverso i consultori, con il passaggio dalla classe C alla classe A.
Varie le opzioni prese in considerazione: prevedere la gratuità per tutte le donne in età fertile oppure per le donne che versano in condizioni economicamente disagiate oppure ancora per le giovani fino a 19/26 anni, come già accade nelle sei regioni italiane e in alcuni Paesi europei.
Una scelta, quella del Cda, che lascia comunque interdette. Basti pensare che, a oggi, l’unica pillola mutuabile è un farmaco considerato una terapia per l’acne. Continuare a pagare di tasca propria per prevenire gravidanze oppure trattare patologie come l’endometriosi è un passo indietro che non possiamo permetterci che continui ad avvenire. Fino al 1993, infatti, la contraccezione era gratuita e questo aveva dato un fortissimo impulso alla conoscenza e diffusione tra le donne italiane.
L’opinione pubblica e le associazioni sono spaccate. I contrari alla gratuità la giudicano in controtendenza rispetto alla ferma volontà di dare nuovo impulso alla natalità nel nostro Paese: Pro Vita & Famiglia, per esempio, parla di un’eventualità «grave e pericolosa», mentre Moige – Movimento Italiano Genitori afferma che l’Aifa «discrimina chi fa i figli». Opposta la posizione del presidente della Federazione nazionali degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli, che già lo scorso aprile in occasione dell’ok del Cpr aveva definito il provvedimento «condivisibile, che riduce le ineguaglianze e rende le donne uguali davanti alla salute».
Eppure, lo scorso aprile sembrava fatta: la Cts e la Cpr avevano concluso l’esame dei contraccettivi orali per le donne in età fertile e la stessa presidente della Cpr, Giovanna Scroccaro, in un’intervista aveva dato la decisione come presa. Già allora era stato chiarito come il rimborso avrebbe riguardato tutte e tre le cosiddette generazioni di contraccettivi, compresi i prodotti con prezzo inferiore. La valutazione tecnico-scientifica era, di fatto, conclusa e mancava solo la valutazione del Cda sulla sostenibilità della spesa, come peraltro chiaro lo scorso 3 maggio dal Ministro dei rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, per conto del Ministro della Salute Orazio Schillaci, in risposta a un’interrogazione parlamentare presentata da Luana Zanella (AVS).
Ci troviamo di fronte a una preziosa occasione persa e a una decisione ideologica: come spesso avviene nella storia, alcuni uomini – il Cda di Aifa è composto da soli uomini, ndr – hanno assunto decisioni per le donne, sul loro corpo e a discapito dei loro diritti, su tutti quello alla salute. L’iter dovrà così ricominciare da capo e chi potrà permetterselo dovrà attendere e continuare a pagare la pillola: ingiusto, non trovate?
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni