Quando passi molto tempo lontano da Roma dopo che hai vissuto parte della tua vita cosciente e razionale lì, ti senti svuotata da qualcosa che non possiede propriamente un nome, al massimo può definirsi una sensazione.
Spesso, quando mi chiedono come io faccia a viverci, borbotto che è tutta questione di abitudine e la termino lì, con una risposta secca e banale ma adatta a chi vuole sentirsi dire solo questo.
Sì, perché la maggior parte delle persone, nel bel mezzo di una conversazione noiosa, tira fuori i discorsi più ordinari per fingersi interessata ma in realtà non vuole conoscere la risposta reale, vuole solo avere una conferma di ciò che pensa, nel caso del vivere a Roma si accontenta di sapere che si sta meglio da qualche altra parte.
Per me non è stato così, per me è stata una scelta. Non mi ci sono ritrovata come chi ha avuto il privilegio di nascerci né sono stata obbligata a trasferirmi per motivi fuori dal mio controllo.
Io ho scelto con razionalità di vivere a Roma, certo, con la razionalità di una diciottenne ma pur sempre con razionalità.
Il primo anno, ricordo, ero spaventata da una vita che non controllavo, sentivo le abitudini scivolarmi addosso e lasciare il posto ad altre, percepivo un cambiamento dentro di me che non riuscivo ad imputare a qualcosa di specifico ma solo alla velocità con cui le ore hanno cominciato a scorrere davanti ai miei occhi.
Così la vita ha accelerato il suo cammino, tanto improvvisamente quanto inevitabilmente, così mi ritrovai invasa da adrenalina e voglia di scoperta, senso di evasione contornato da ansia, tanta ansia ma emozione innocente, senza le contaminazioni proprie di una coscienza più matura e il perenne senso di inadeguatezza che mi ha accompagnato negli anni successivi, ma rapita dall’idea di costruire un mondo del tutto nuovo.
Ero ancora una turista che cercava di vivere una città grande circa mille volte di più del paese in cui era nata. Nonostante questo, il sentirmi tanto piccola non mi ha mai spaventata davvero. Nella torbida conoscenza della città, che si fa più per curiosità che per cultura, ho cercato nuovi posti da scoprire e da rendere miei, da plasmare su di me e rendere unici per me.
Durante i primi giorni, ho fissato il Colosseo con gli occhi di chi non aveva mai visto niente di simile, anche se stavo tornando lì dopo esserci stata in gita con la scuola circa sei anni prima. Non mi stupì la sua maestosità, né forse la sua storia, ma fui catturata dal susseguirsi della vita delle persone. Guardai per minuti camuffati da ore il suono caotico della gente che lo ammirava, ed ammiravo ognuno di loro, nel loro disinteresse e stupore, passare e lasciare Roma, senza farsi conquistare del tutto.
Osservare con quieto interesse l’atteggiamento umano tipico del passeggero noncurante ha pian piano fatto emergere l’essenza della città, l’ha a sua volta umanizzata e nel suo alone immortale e divino, l’ha resa alla mia portata. Da quel momento ho cominciato ad amarla ed amo pensare che lei abbia amato me. Ho passeggiato in Via dei Fori imperiali alle due di notte quando le due erano il momento silente del centro città e si poteva viverlo senza infrangere DPCM. Mentre camminavo, ho scoperto che Roma ti parla quando sei pronta ad ascoltarla, ti illustra i suoi punti di forza accompagnando i tuoi pensieri, crea la colonna sonora giusta per quel momento e la incide nella tua mente e ti regala un viaggio chiuso in quattro passi e un filo di vento caldo.
Più gli anni passavano più avevo il privilegio di conoscere angoli che non conoscevo, perché quando vivi a Roma il tuo quartiere diventa la tua Casa ad Hogwarts (la mia è sempre Grifondoro): certo, il rosa acuto di cui si tinge il cielo di Roma al crepuscolo è bello ovunque, dal quartiere Trieste sempreverde al sempiterno lungotevere intorno al Ponte Umberto I, ma la poetica profonda e immersiva è una dedica che la città ti concede solo quando la osservi con la sua moltitudine di tetti. La geometria armonica e casuale dei suoi palazzi, avvolti dall’architettura più antica e famosa del mondo, scrive continuamente una sceneggiatura immaginaria di emozioni e ti permette di ammirare voli imprevedibili e le traiettorie impercettibili degli uccelli migratori come l’Àugure nell’Antica Roma. Lì dove il suo tramonto coinvolge con una palette di colori caldi e pastello, la sua alba percuote e colpisce su Casal Bertone e si schianta sulla Prenestina, a confine col Pigneto, con un miscuglio di colori accesi ed intensi, in un vortice di blu elettrico e blu notte unito ai primi chiarori giallastri ed arancio tipici del mattino.
Sono passati dieci anni dal primo giorno a Roma e questo è il primo anno che passo lontana da lei senza abituarmi alla sua assenza. Oggi però mi sento diversa, mi sento lentamente privata di quella incoscienza che mi caratterizzava nei primi anni, come se le esperienze vissute fino a questo momento mi avessero chiesto in cambio parte di me per averne nuove da vivere. Rimane parte degli occhi sognanti che un tempo la guardavano per la prima volta, ma il resto è mutato, rendendo tutto un po’ pleonastico e meno necessario per lasciare spazio solo ad un innocente invasione, chiara e limpida ma spesso latente che racchiude Roma nella costante ispirazione vitale della mia mente. Ogni singolo punto della città diviene materiale infinito dove porre immaginazione e concretezza, ogni angolo urla vicende blasfeme e pie ed è in grado di reggerle tutte nel tempo, ogni passo è intrinseco di crescente voyeurismo a compierne altri, ed altri fino al raggiungimento di un climax di sfogo mentale, assaporare e vivere la sua pacatezza notturna e il caotico vortice giornaliero è overture dell’opera immaginaria ispirata alla mia vita.
Un flusso di pensieri per dirti che mi manchi Roma, mi manca tutto di te, ma principalmente mi manca la carbonara domenicale al suono di Roma-Lazio tra le finestre dei condomini.