Mercoledì 11 dicembre il Parlamento ha dato il via libera alla risoluzione relativa alle comunicazioni del Presidente Conte al prossimo Consiglio europeo, dove si discuterà delle modifiche al MES che tanto hanno infiammato il dibattito politico delle ultime settimane.
La maggioranza di Governo è stata infatti sull’orlo del collasso e il Movimento 5 Stelle ha manifestato nuovamente le proprie fratture interne, fino a che non sono giunti i numeri a salvare l’Esecutivo: 291 voti a favore e 222 contrari alla Camera e 164 a favore, 122 contrari e 2 astenuti al Senato.
Le polemiche però sono state accesissime, con Salvini e Meloni determinati a far saltare il Conte-bis una volta per tutte. Ha fatto poi ancor più rumore la raccolta firme promossa dalla Lega, che ha ottenuto ampia partecipazione sebbene – forse – sarebbe più corretto parlare di una forma di partecipazione essenzialmente inconsapevole, governata dalla cieca fedeltà al leader. È da questa inconsapevolezza che deriva l’esigenza di chiarire in cosa consiste effettivamente il MES e quali sono i punti rilevanti della tanto discussa riforma.
Cosa è il MES?
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è un organismo con sede a Lussemburgo, istituito con un trattato intergovernativo – cioè fuori dai paradigmi normativi comunitari – nel 2012, sulla spinta delle preoccupazioni generate dal collasso dei mercati europei che seguirono la crisi globale del 2008-2009.
In particolare, l’ideazione del MES rappresenta la riposta ad un vuoto normativo derivante dall’applicazione restrittiva della clausola di ‘non salvataggio’ (no bail-out) prevista dal Trattato sul funzionamento dell’UE, la quale impediva nella sostanza qualsiasi intervento di sostegno per i paesi in difficoltà finanziarie della zona euro.
Il MES è finalizzato per l’appunto a concedere assistenza, in determinate ipotesi, a quei paesi che, nonostante la sostenibilità del debito interno, trovano momentaneamente difficoltà a finanziarsi sul mercato, in modo da evitare un default sovrano.
Organizzazione e funzionamento
Alla guida vi sono i 19 Ministri delle finanze dei paesi firmatari – riuniti nel Consiglio dei Governatori – e si decide all’unanimità o – nei casi di pericolo per la stabilità finanziaria- con una maggioranza dell’85%. La Germania, la Francia e l’Italia, avendo sottoscritto quote superiori al 15%, hanno la possibilità (al contrario di quanto affermato nelle ultime settimane) di porre il proprio veto finanche sulle decisioni prese in via d’urgenza. Ciò comunque accade, si ribadisce, in casi di straordinaria emergenza, cioè solo quando la Commissione e la BCE riscontrano una concreta minaccia per l’equilibrio finanziario della zona euro. Proprio per questa sua natura di meccanismo assistenziale, il MES viene anche individuato con l’espressione di ‘Fondo Salva Stati’.
Il Consiglio dei Governatori può essere presieduto sia dal presidente dell’Eurogruppo (come accade oggi) che da un Presidente eletto tra i suoi membri.
Oltre al Consiglio dei Governatori, il MES è gestito da un Consiglio d’Amministrazione, i cui membri sono scelti dai ministri componenti il Consiglio dei Governatori, e da un Direttore generale (attualmente Klaus Regling), che presiede le riunioni del Consiglio di Amministrazione, partecipa a quelle del Consiglio dei Governatori, gestisce il personale e gli affari correnti sotto la direzione del Consiglio d’Amministrazione ed è il rappresentante legale dell’organismo.
Per fornire il suo sostegno, il MES raccoglie fondi mediante l’emissione di strumenti finanziari o tramite intese finanziarie bi o plurilaterali con altri Stati, istituzioni finanziarie o terzi privati.
Attualmente, il capitale sottoscritto del MES è pari a 704,8 miliardi di euro, di cui 80,5 già versati, con una capacità di prestito di circa 500 miliardi. I Paesi che beneficiano del sostegno al MES devono tuttavia accettare una serie di condizioni, come tagli alla spesa pubblica e riforme strutturali, ed è proprio su tale punto che si è accesa particolarmente la polemica degli ultimi giorni: la paura, paventata principalmente da esponenti di Lega e Fratelli d’Italia, di una (presunta) ristrutturazione automatica del debito sovrano conseguente ai tanto contestati interventi di riforma. Chiarendo preliminarmente che la riforma non prevede né annuncia alcuna misura di questo tipo, esaminiamone i contenuti.
I punti principali della riforma
L’intervento si snoda su tre punti fondamentali: i compiti e la governance del MES, le condizioni per concedere l’assistenza e le funzioni del MES come sostegno di emergenza (il c.d. ‘backstop’) del Fondo di risoluzione unico.
Dal primo punto di vista, la riforma mira ad un progressivo affiancamento tra il MES e la Commissione europea (è prevista la stipula di un accordo per stabilire le modalità di coordinamento). Tra le altre, la misura più pregnante è quella che prevede che il direttore del MES valuti, di concerto con la Commissione e la BCE, la sostenibilità del debito pubblico del paese cui fornire assistenza.
Quanto alle condizioni per la concessione dell’assistenza, oltre alla valutazione di cui sopra e alla possibilità per lo stato beneficiario di ripagare il debito, si prevede che quest’ultimo:
- non si trovi in procedura d’infrazione;
- vanti un deficit inferiore al 3% da almeno due anni;
- abbia un rapporto debito pubblico/PIL sotto il 60%.
Quanto al backstop, infine, si tratta di un meccanismo di sostegno per il Fondo di risoluzione unico, qualora le sue risorse non risultino sufficienti a finanziare gli interventi previsti.
Per concludere
Fuori da ogni polemica politica, il MES non può ritenersi un organismo che danneggia gli interessi del nostro paese. Non aumenta le probabilità di default e non è – come qualcuno, semplicisticamente, ha opinato – un altro modo di aiutare le banche; piuttosto, mira ad evitare e contenere i rischi di contagio potenzialmente derivanti da crisi finanziarie sistemiche, crisi che dovrebbero indubbiamente essere evitate poiché renderebbero l’economia interna ancor più fragile di quello che è.