Locke, a serious man

Di Nicola H. Cosentino

 

Mentre si consuma un fuoco incrociato d’indiscrezioni sulla lavorazione di Interstellar (Cristopher Nolan) e Star Wars VII (stavolta JJ Abrams), un attore reduce da un cinefumetto esistenzialista ed un regista quasi emergente che fu sceneggiatore per Cronenberg e Frears firmano, praticamente da soli, un prodotto di controtendenza straordinaria. Chi come me ha visto Locke di Steven Knight in anteprima a Venezia – nel pubblico disordinato e casinista della Sala Perla, credo, quella dei giornalisti – per una giornata buona non ha parlato d’altro, almeno finché lo stupore per il Leone d’Oro a Sacro GRA non ha messo a tacere tutti i commenti di contorno. La trama è così semplice che passa la voglia di vederlo: Tom Hardy (Inception, The Dark Knight Rises) sale in macchina, e va da qualche parte. Non si sa dove, non si sa a fare che. Fine. Dallo start silenziosissimo in poi, Knight affida la gestione della vicenda ad una serie di telefonate tra il protagonista e gli altri (moglie, figli, capi, sottoposti, un’altra donna) che snocciolano la trama come un thriller sofisticatissimo se non fosse che Locke, del thriller, ha solo l’usuale ambientazione notturna. E’ anzi un dramma, rischiosissimo nello stile, sulle scelte di uomo serio, un eroe comune che commuove per senso di responsabilità. Altro, su Locke, non si può dire. Se non che si parla tanto di calcestruzzo (ma così tanto che ti viene voglia di lavorarci) e che Tom Hardy viaggia da solo da Birmingham a Londra, quasi in tempo reale, e nonostante questo non ci si annoia nemmeno un secondo. Locke è un film essenziale, pulito ed istruttivo, anche, per la brillante caratura morale del suo indimenticabile protagonista. A cui si deve tutto il carnet emozionale e buona parte dell’approvazione critica. Inspiegabilmente fuori concorso a Venezia, è adesso al cinema. Bellissimo.

Tom Hardy in Locke