La tutela dei diritti: i matrimoni precoci in Iraq

Il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Patto ONU II) è un trattato internazionale che contiene importanti garanzie per la protezione delle libertà civili e politiche. Entrato in vigore il 23 marzo 1976 e ratificato da 167 stati (l’Italia lo ha ratificato nel 1978), si compone di 53 articoli che fanno riferimento alle tradizionali responsabilità degli Stati nel campo dell’amministrazione della giustizia e del mantenimento dello stato di diritto. Tra i diritti riconosciuti figurano il diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza personale; di pensiero, di coscienza e di religione; la libertà di opinione, di espressione, di associazione e di riunione pacifica. L’art. 2 sancisce che tali diritti devono essere garantiti a tutti, senza distinzione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione. Il Patto ha previsto anche un meccanismo di controllo: il Comitato ONU per i diritti umani è l’organo di controllo incaricato di verificare che gli Stati parte rispettino i loro obblighi.


La Convenzione sui diritti dell’infanzia, invece, rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell’infanzia. È stata approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a New York ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990. L’Italia ha ratificato il documento il 27 maggio 1991 con la legge n.176 e a tutt’oggi più di 190 Stati ne fanno parte. Questo strumento obbliga gli Stati che l’hanno ratificata a uniformare le norme di diritto interno a quelle della Convenzione e ad attuare tutti i provvedimenti necessari ad assistere i genitori e le istituzioni nell’adempimento dei loro obblighi nei confronti dei minori.


Nonostante l’Iraq aderisca, dal 1971, al Patto internazionale sui diritti civili e politici e, dal 1994,
alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, nel Paese la pratica dei matrimoni precoci è ancora
largamente diffusa. A dire il vero, in Iraq c’è una legge (del 1959) che prevede i requisiti per
contrarre matrimonio e, dunque, cosa è invece vietato: tra gli altri, i matrimoni poligamici, quelli forzati e quelli precoci (spesso, forzati e precoci vanno di pari passo).

E’ l’ultimo report annuale di Human Rights Watch (organizzazione internazionale non governativa che si occupa della difesa dei diritti umani) a confermarlo: in Iraq ogni anno vengono celebrati migliaia di matrimoni c.d. “precoci”. E come è possibile? Abbiamo appena detto che è stata emanata una legge apposita. E’ semplice: i matrimoni non vengono registrati, vengono celebrati da leader religiosi che non passano dai Tribunali, e per questo possono violare la legge.
Nella maggior parte di questi matrimoni precoci (e forzati), le spose hanno meno di diciotto anni, e circa il 20% hanno coinvolto ragazze di età inferiore ai quattordici anni; tuttavia, come riportato da Human Rights Watch nel suo report, in passato sono emersi anche casi di leader religiosi che hanno autorizzato matrimoni di bambine di appena nove anni.

Le conseguenze di questa pratica sono devastanti e ai nostri occhi, forse, immediatamente percepibili. I matrimoni precoci non sono validi, perché non vengono registrati. Ma per poter partorire in ospedale è necessario dimostrare di essere sposate in tribunale; per questo, molte ragazze sono costrette a partorire in casa. E cosa ne è del diritto alla salute? Per non parlare di divorzio o del caso in cui il matrimonio sia connotato da violenze: le giovani spose, infatti, non dispongono di alcuna protezione legale. Difficile è anche la condizione dei figli, a cui, spesso, viene negata la consegna dei documenti di identità.

Tra le aree in cui si registra una maggiore diffusione del matrimonio precoce, riporta Girls not
Bride (organizzazione internazionale non governativa con la missione di porre fine ai matrimoni
precoci in tutto il mondo): il governatorati di Missan (35%), Bassora (31%), Karbala (31%), ma
anche il Kri (Governo Regionale del Kurdistan) e le zone rurali.

Il matrimonio precoce non è un problema solo dell’Iraq: è un morbo globale, alimentato dalla
disuguaglianza di genere, dalla povertà, dalle norme sociali e dall’insicurezza. Il matrimonio precoce ha un aspetto diverso da una comunità all’altra. Non esiste un’unica soluzione, un unico attore o un unico settore per porvi fine. La soluzione non può che essere globale e di cooperazione, verso quella che, a tratti, ci sembra un’utopia: un mondo dove la tutela dei diritti (di tutti) è effettiva.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni