Nel cuore del Parco Nazionale della Sila, a 1315 metri di altitudine, in un luogo unico nel suo genere, sorge il vigneto più alto d’Europa “Immacolata Pedace” dell’azienda agricola “DP”, i cui frutti raccontano una storia familiare e rispecchiano la ricchezza e il fascino di una terra antica, aspra e accogliente.
Ci troviamo nella cosiddetta Sila Greca, a Cava di Melis, frazione di un piccolo borgo abitato una volta dai lavoratori della pece e dai taglialegna “mannisi”. All’ombra di maestosi pini larici, tra il monte Altare e il lago Cecita, nasce una storia di imprenditoria e viticoltura che non possiamo non definire eroica e che coinvolge un’intera famiglia, con lo sguardo puntato verso un futuro sempre più luminoso, fatto di sogni, sacrifici, determinazione e prodotti di altissima qualità. A dispetto delle aspettative, qui sono state impiantate non solo uve locali come il Magliocco e il Gaglioppo, ma anche Chardonnay, Pinot Bianco, Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Gewürztraminer. Da queste uve si ottengono un vino bianco, due vini rosati e un vino rosso che si caratterizzano per persistenza, gusto pieno e aromi fruttati.
Tutto ha avuto inizio nel 2006, dalla visione e dalla tenacia di un giovane ingegnere, Emanuele J. De Simone, che incontro insieme alle altre anime dell’azienda, il padre Emanuele S. e la madre Immacolata, nella splendida cornice del vigneto, inebriati dal profumo dell’uva matura e dall’odore unico di pini e sole.
Com’è nata l’idea di un’azienda vitivinicola in Sila?
«È nata per gioco nel 2006, a me piacevano l’uva e il mosto cotto – ride – ed ebbi la felice idea di impiantare un vigneto in una porzione di terreno che avevamo acquistato. All’epoca ci presero tutti per matti, qualcuno ci chiedeva “com’è possibile un vigneto in Sila, a 1300 metri?”, sembrava un’impresa impossibile. Ho cominciato a studiare alcuni manuali: secondo me era realizzabile, anche se mi prendevano per matto. Scoprii poi su Internet l’esistenza di quello che era all’epoca il vigneto più alto d’Europa, si trovava in Valle d’Aosta: se lì era possibile, perché non avrebbe dovuto esserlo anche da noi? Abbiamo così chiesto alla Regione Calabria l’autorizzazione per un campo sperimentale, arrivata nel 2008, e abbiamo piantato le prime 500 piante, di tutte le varietà, proprio per capire quale riuscisse a vegetare, fruttificare e vinificare a queste quote. Abbiamo ottenuto vini davvero eccellenti e negli anni successivi abbiamo impiantato altre 500 piante. Da una richiesta di vino abbastanza elevata è scaturita poi la decisione di metter su una vera e propria azienda. Attualmente, abbiamo oltre 11mila piante – anzi quasi 12mila – su due ettari e mezzo di superficie e ci avvaliamo della collaborazione di un enologo e tre agronomi».
Quali sono le peculiarità e quali le difficoltà che affronta un’azienda come la vostra?
«Sicuramente i pro di produrre qui, immerso nei pini e con vista sul lago, riguardano la qualità altissima che raggiungono le uve, che hanno più pregio e da cui si ottengono vini più freschi, più persistenti e più fruttati grazie proprio all’escursione termica che fa sì che l’uva assorba tutto ciò che la circonda. Il profumo dell’erba, dei fiori e degli alberi viene trasmesso così ai mosti e lo ritroviamo nei vini».
«Inoltre – interviene Immacolata – a queste altezze non siamo attaccati dai parassiti e non abbiamo necessità di utilizzare pesticidi, ci limitiamo a usare prodotti naturali come zolfo e rame».
«Vivere in questo territorio, a contatto con la nostra terra, ci consente anche di cercare di valorizzare il territorio – chiosa Emanuele S. – Si pensi che, quando abbiamo acquistato, questo era un terreno abbandonato. Anticamente veniva usato a seminativo, poi è stato lasciato a se stesso ed era invaso dalla cosiddetta ginestra infestante. Al tempo stesso, per noi è importante restare. Mio figlio è ingegnere, ma ama la terra e questo lo lega ancora di più a questi luoghi e alla valorizzazione. Vedere che spesso la politica non si cura del nostro territorio ci fa stare male».
«Ci sono ovviamente delle difficoltà – prosegue Emanuele J. – che ci fanno sudare freddo, come le gelate primaverili o la grandine, che rischiano di far ridurre la produzione o far addirittura perdere il raccolto. Sono fattori che bisogna mettere in conto, in fondo è questa l’agricoltura “eroica”».
Quali sono le difficoltà nel fare imprenditoria al Sud?
«Qui, in particolare in Sila, ci sono meno servizi rispetto ad altre zone e i costi sono superiori: per esempio, per quanto riguarda il trasporto merci, rispetto a una zona a bassa quota questa è decisamente svantaggiata. È necessario poi lavorare il doppio per trovare il modo di attirare qui i flussi turistici. La crisi degli ultimi mesi ha fatto poi lievitare i prezzi e ci troviamo di fronte a una situazione di scarsità di materie prime».
Qual è il vostro mercato di riferimento e a quanto ammonta la produzione attualmente?
«Le esclusive riguardano, in Italia, i centri più grossi, mentre all’estero esportiamo in Austria, Danimarca, Germania e Svizzera. Produciamo circa 10mila bottiglie, per scelta il nostro è un prodotto di nicchia a tiratura limitata: puntiamo tutto sulla qualità, non sui quantitativi».
Quali sono le previsioni per la prossima produzione?
«Visto il gran caldo, crediamo che il prodotto avrà una qualità eccellente».
Quali invece i progetti futuri?
«Siamo al lavoro per realizzare, anzi per completare, un museo e una sala degustazione. Sarà così possibile visitare il museo, fare dei picnic con prodotti tipici della nostra terra e anche pernottare in due casette immerse nella natura. Inoltre, continuiamo a lavorare per migliorare sempre il nostro prodotto, creando ogni giorno il nostro personale percorso e la nostra storia».
Storie come questa e prodotti di così alta qualità danno un senso nuovo alla restanza che si fa valorizzazione del territorio, racconto di ciò che la natura ha da offrire, riscoperta delle tradizioni e, soprattutto, delle identità.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni