La magia dello sport e il fango dell’ignoranza

Lo stadio, per un appassionato che si rispetti, è da sempre sintomo di gioia ed esaltazione, che a volte può sfociare in delusione a causa di un sentimento – quello verso il calcio ad esempio – incontrollabile, vivace, espansivo.

Un’arena dove si concentra tutto l’amore verso lo sport, la passione verso la propria squadra e il desiderio di esultare ad un gol, di festeggiare un trofeo, una partita vinta. Il tutto tra abbracci, sfottò, selfie, sciarpe e striscioni. Una magia ineguagliabile che non andrebbe mai sporcata, specialmente in termini di condivisione.

Eppure, nonostante ci troviamo ormai nel 2023, gli amanti dello stadio devono, ogni domenica, fare i conti con la brutta piaga del razzismo, sentendosi sporchi, quasi complici. Ancora oggi diversi calciatori sono bersagliati da urla razziste, insulti denigratori e offese gratuite. Chi si dirige allo stadio con intenzioni positive si ritrova coinvolto in un clima di negatività, di totale odio, vedendosi rovinata quell’esperienza – tanto attesa e desiderata – dalla parte malata e ignorante del calcio.

L’ultimo episodio razzista si è materializzato poche settimane fa, con il Giudice Sportivo a sanzionare la curva nord della Lazio che, in occasione della partita dei biancocelesti contro il Lecce di mercoledì 4 Gennaio, si rese protagonista di cori razzisti nei confronti dei calciatori leccesi Samuel Umtiti e Lameck Banda. La curva venne chiusa per un turno e questo impedì agli ultras laziali di occupare i loro posti all’Olimpico di Roma per la sfida tra Lazio ed Empoli della domenica successiva.

La sanzione scatenò l’ira degli ultras, che subito risposero con un comunicato che rispecchia perfettamente il disagio che si cela dietro chi commette certe vigliaccherie:

“Il solito calcio ipocrita, i soliti signori del pallone che seguono il politicamente corretto pronti a giudicare, condannare e punire. Ci si indigna per un coro e si chiude un settore intero di 10 mila posti. Per quale motivo? E allora ricordiamo a lor signori che hanno acconsentito, per soldi, a disputare un mondiale in Qatar, con un giro di mazzette di milioni di euro scoperto tra gli eurodeputati per favorire la competizione. In un paese veramente razzista, omofobo e discriminatorio fino al midollo, dove le donne non possono nemmeno uscire di casa. E ancora, rinfreschiamo la memoria: ogni domenica, perché questo è lo stadio da sempre, si insultano tifoserie avversarie con cori del tipo“zingaro”, “terrone”, “nomade”, madri e figli, ma nessuno si è mai preso la briga di chiudere una curva. Ed è giusto che sia cosi. Lo hanno fatto con noi laziali per colpirci, per affossarci in nome della lotta (falsa) al razzismo che usano come vogliono loro. Noi andiamo avanti, senza piegarci e sempre a difesa della nostra Lazio, in ogni stadio d’Italia e d’Europa. Alla faccia di chi ci attacca e contro chi vuole piegarci, con la consapevolezza che non ci riusciranno mai”.

Un discorso di grande intensità culturale e giuridica che, inizialmente partorito per difendere la categoria punita, in realtà ne mette in risalto tutta l’ignoranza e l’incapacità nel comprendere l’errore commesso, probabilmente sfociato da tempo nel recidivo. La frase “ed è giusto che sia così” ne racchiude tutta l’essenza. In pratica, secondo il loro ragionamento, il mondiale in Qatar – e tutti i suoi loschi scheletri nell’armadio – dovrebbe in qualche modo giustificare il razzismo del presente e del futuro. A detta loro, il prossimo mentecatto che lancerà una buccia di banana verso un uomo di colore verrà risparmiato perché in Qatar donne e omosessuali vengono da anni discriminati, senza che nessuno muova un dito. E visto che – come hanno dichiarato nel comunicato – insulti e cori come “zingaro”, “terrone” e “nomade” non vengono mai puniti, allora nessuno avrebbe dovuto osare prendere dei provvedimenti verso di loro. Della serie “se lo fanno tutti, lo faccio anch’io”, una mentalità che non va più di moda neanche alle scuole materne. Purtroppo nessuna sanzione cancellerà mai questa riprovevole piaga con cui il calcio convive da anni. E pensare che il tifo sugli spalti serva ad incitare e sostenere la propria squadra, non ad insultare quella avversaria e i suoi tifosi.

Finchè non si percepirà la sottile differenza tra le due cose, lo stadio sarà sempre luogo di conquista per coloro che pensano più a liberare la propria stupidità che la loro passione.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

Andrea Bosco
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Siciliano legato alle tradizioni. Diplomato in tecnica della gestione aziendale, tifoso del Milan, giornalista freelance e produttore di musica elettronica. Odia l'ipocrisia e disconosce il politically correct. Ama scrivere e raccontare la verità senza peli sulla lingua.