Siamo stati educati, storicamente parlando, a definire il tempo in un avanti e dopo Cristo, ma è altamente probabile che quando tutto questo sarà finito definitivamente ci ritroveremo catapultati in una sorta di nuovo anno zero, dove sarà il Covid-19 a dettare il tempo.
Durante il lockdown abbiamo fronteggiato, senza alcun dubbio, il nemico senza volto più potente che ci potessimo immaginare. Democratico perché riesce a colpire tutti indistintamente; coercitivo al punto da far vestire la nostra umanità di mascherine e guanti; anticulturale, a tratti inumano, perché ci ha portati a sopprimere la nostra quotidianità, le nostre relazioni e interazioni. Ci è stato imposto dal Governo di “evitare abbracci, strette di mano e contatti fisici diretti con ogni persona”, ci è stato imposto dunque di privarci di un aspetto antropologicamente costitutivo della nostra civiltà, del nostro essere “umani”.
Per questo motivo la sottoscritta insieme ad un gruppo di colleghi del corso di Negoziazione dell’ Università Luiss Guido Carli, tenuto da Angelo Monoriti, Rachele Gabellini, Francesco Rossi e Silvia Nutini, si è interrogata se “la legge” può farci rinunciare ad un aspetto così importante della nostra umanità per proteggere la salute umana nostra e di chi amiamo o, più semplicemente ancora, di chi ci sta di fronte. La verità è che era inevitabile una misura simile ma, è anche vero che non può una regola modificare l’identità nazionale di un popolo, eliminare ciò che diversifica noi dagli altri “esseri”.
In una frazione di secondo, sia nelle rarissime occasioni durante la fase 1, ancor di più nella fase 2, siamo stati costretti nel momento in cui abbiamo incontrato amici, parenti e conoscenti a “negoziare” fra il nostro bisogno di rimanere umani e il nostro interesse a proteggerci e a proteggere l’altro, negoziare quindi fra la nostra identità relazionale e il nostro istinto di sopravvivenza. Tale condizione psicologica è stata definita dagli esperti in materia come “dissonanza emotiva”.
Ha preso così vita il progetto “Salutiamoci bene”, grazie a una teoria scientifica relativa alla “gestione delle emozioni” che individua – quale causa delle emozioni stesse – alcune necessità psicologiche umane definite come “le cinque esigenze primarie”: apprezzamento, affiliazione, autonomia, status e ruolo.
Si è quindi ricercata una soluzione in grado di mettere in equilibrio due fra le cinque “esigenze primarie”, che modellano la nostra identità relazionale: “autonomia” e “affiliazione”.
Pertanto, quello che abbiamo proposto consiste in una nuova forma di saluto, un nuovo “rito” condivisibile che riconosce un ruolo fondamentale, non potendo utilizzare il contatto fisico, allo sguardo e alla gestualità: “posare lo sguardo sull’altro è la prima forma di riconoscimento, la prima forma di calore, la prima forma di umanità, girando poi il palmo della mano verso sinistra, verso il cuore” (su youtube si trova “ Tutorial Saluto #Iosonoporcospino”).
Angelo Monoriti – ideatore e promotore del progetto insieme alla prof.ssa Maria Rita Parsi, psicopedagogista e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Movimento Bambino ONLUS – precisa che tale progetto nasce per identificare dei “gesti barriera” che possano funzionare come “attivatori mentali” in grado di ricordare costantemente ai cittadini di mantenere il “distanziamento fisico”, senza annullare le regole della socialità”.
Proprio al fine di diffondere questo saluto, facendolo diventare un “attivatore mentale comune”, ovverosia un gesto frutto di un processo auto-motivazionale, e non come una mera imposizione dall’alto, il progetto di lavoro ha previsto l’ideazione, la scrittura e la realizzazione di un cortometraggio animato dal titolo #BEHUMANAGAIN #Iosonoporcospino disponibile su youtube. La regia e la sceneggiatura è a cura di Alessandro Valentini dell’Università “La Sapienza” – Scienze delle Arte e dello Spettacolo, cui segue una musica avvolgente – curata dagli studenti del Conservatorio di Musica “Luigi Canepa” di Sassari – che punta dritto all’animo dello spettatore con toni rivitalizzanti e soavi.
Perché il porcospino? Semplice, ci siamo riferiti alla dotta parabola nota come il dilemma del porcospino elaborata nel 1851 da Schopenhauer nel volume “Parerga e paralipomena”.
“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche. Il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno: di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. Finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.
Dopo la quarantena, insomma, ci siamo riconosciuti tutti nei porcospini bisognosi di calore umano, ma nello stesso tempo spaventati dal pericolo che ogni contatto umano rappresenta per la nostra salute.
Nonostante ciò, mettendoci di fronte all’altra persona, rimanendo ad almeno un metro e mezzo di distanza e sollevando il palmo della mano destra ruotandolo verso sinistra senza toccarci, attivando il contatto visivo. Ricordandoci che nella mano ci sono i nostri nuovi occhi, con un semplice gesto possiamo dire: ti vedo, ti sento, ci sono.