Salva lo stagista frust(r)ato!

Una società che vuole “rinnovarsi” deve avere il coraggio di dare spazio a coloro che sono incubatori di idee e di aspirazioni: i giovani. Questo perché, molte volte, le loro idee possono diventare veri e propri contenuti. Se poi, questi contenuti, riescono a prescindere da ideali e fazioni politiche, direi che ci siamo.

Di chi o cosa sto parlando? Ovviamente della campagna cui hanno dato vita i Giovani Democratici di Milano, sostenuta da varie realtà giovanili italiane – come i Giovani delle Acli – per porre fine all’abuso dello stage come mezzo di sfruttamento dei giovani lavoratori e far diventare l’apprendistato lo strumento principale di entrata nel mondo del lavoro. In che modo? Rendendolo più efficace e semplice!

Ad un occhio superficiale, tirocinio e apprendistato potrebbero sembrare simili, dal momento che i punti di contatto tra i due istituti sono diversi: si rivolgono entrambi ai giovani, di età inferiore ai trent’anni, e sono entrambi finalizzati a formare gli stessi, grazie alla presenza di un tutor, e a inserirli all’interno del mercato del lavoro. Tuttavia, non è affatto così: tirocinanti e apprendisti hanno diritti e doveri molto diversi tra loro.

Il tirocinio (o stage) vs l’apprendistato

Innanzitutto, il tirocinio (o anche stage) non è un contratto di lavoro. È un periodo di orientamento o di formazione che può essere curricolare (inserito in un progetto scolastico o universitario) oppure extracurricolare.  Quest’ultimo è regolato da una convenzione formativa che non dà accesso a nessuna delle tutele del lavoro subordinato. La retribuzione minima mensile, che il più delle volte è un (misero) rimborso spese, viene fissata dalle singole regioni e la durata – non inferiore ai 2 mesi ma non più di 12 – è variabile, così come le sue possibilità di rinnovo. 

L’apprendistato professionalizzante, invece, è un vero e proprio contratto di lavoro. Per i primi anni prevede sia la componente formativa che quella lavorativa, in quanto mira a formare una figura specializzata la quale, alla fine del periodo determinato di apprendistato, sarà completamente autonoma. Tale rapporto è rivolto esclusivamente ai giovani dai 18 ai 29 anni e ha una durata minima di 6 mesi e massima di 3 anni, a conclusione dei quali il datore può liberamente rescindere il contratto o, nella migliore delle ipotesi, confermarlo in un normale contratto a tempo indeterminato.

L’apprendista viene assunto con l’obiettivo di raggiungere in massimo tre anni una determinata qualifica. Inoltre, può essere assunto con un sottoinquadramento non inferiore di due livelli, per poi essere progressivamente promosso fino al livello corrispondente alla qualifica professionale alla quale l’apprendistato è finalizzato.

I due istituti sono molto differenti anche per il datore di lavoro: il tirocinio consente molta flessibilità e riduce il costo del lavoro a un semplice rimborso sottopagato, mentre l’apprendistato prefigura un vero e proprio salario e richiede la contribuzione previdenziale, assistenziale e assicurativa per un periodo più lungo. L’importo dello stipendio varia in base al CCNL applicato dalla categoria e solitamente si tratta di un importo crescente negli anni fino ad arrivare allo stipendio pieno, quando da apprendistato si passa al contratto a tempo indeterminato.

Per questo non sorprende la circostanza per cui, nonostante nel corso degli anni il governo abbia promosso una serie di incentivi a favore dell’apprendistato, quest’ultimo istituto ha trovato poca applicazione.

Il datore di lavoro non privilegerà mai un contratto normato dal CCNL di settore con una retribuzione vera e propria, come l’apprendistato, rispetto al tirocinio che viene in considerazione come un accordo di formazione che non presenta i vincoli e i costi di un contratto di lavoro vero e proprio. 

La campagna “Salva lo stagista frust(r)ato”

Qual è la proposta dei Giovani Democratici? Beh, direi che dovete necessariamente andare a leggerla sul loro sito web.

Posso però sinteticamente anticiparvi che propongono di unificare il tirocinio curriculare con quello extracurriculare, con durata non superiore ai 3 o 6 mesi – a seconda della tipologia – con un’indennità obbligatoria di minimo euro 350 mensili e di riformare l’apprendistato professionalizzante, snellendo le procedure burocratiche che spesso ne ostacolano l’attivazione e prevedendo degli sgravi fiscali direttamente proporzionali all’aumentare della permanenza dell’apprendista presso il datore di lavoro.

Insomma, tutto quello che dovete fare ora è andare a leggere la loro proposta, firmarla e condividerla!


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni