Immagini di vita che batte, poesia nei chiaroscuri.
Immagini quotidiane, riflessioni sul vecchio e sul nuovo
E’ mattino presto, le serrande dei negozi sono ancora abbassate mentre io passeggio con il cane e mi godo le prime luci del giorno. Faccio attenzione, l’erba è alta e non vedo bene il terreno che calpesto.
Il cielo ospita una luna timida ed un sole coraggioso, che si prepara ad esplodere in tutta la sua forza.
Il quartiere è un piccolo mondo, mi ripeto, osservando le facce che lo abitano.
La ragazza con le ossa di vetro si affaccia dal suo terrazzo e mi chiedo se avrà ingoiato un boccone oggi, tra una sigaretta e l’altra. I fiori colorano il marciapiede di fronte, fanno da benvenuto ad uno spettacolo decadente.
La bicicletta e il vicino misterioso, le chiacchiere chiassose del matto più sano, le campane che scandiscono gli intervalli della giornata.
Al tabaccaio ritrovo le stesse persone, intente a fissare un cartello digitale che proietta i numeri della vincita, il gioco e l’azzardo della mente.
Una siringa in un parco abbandonato, un’altra al margine delle aiuole sotto casa. Il mistero dei tossici, la solitudine dei tossici, la quotidianità dei tossici.
Un parco, pochi animali, un po’ di giochi. Un parco, tante storie, anime lontane, ravvicinate al fresco dell’ombra di un albero.
I clackson, le macchine, gli schiamazzi, e le acconciature delle vecchie signore, sempre a posto.
Tutto sembra essere a posto, nella inesauribile vita che si muove negli angoli di un pezzo di mondo. Ogni cosa mi sembra essere assorbita dal meccanismo di un grande orologio.
La mia mente divaga tra realtà e sogno, ed intanto immagino scorrere il tempo al ritmo delle lancette di quell’orologio.
Il futuro mi fa paura se presto attenzione allo scenario complessivo che il mio sguardo focalizza. Ogni cosa, o persona, mi sembra emettere un suono tacito, di aiuto. Dietro i vetri delle case circostanti, immagino la vita degli altri scorrere ad un ritmo che non è il mio, mobile nell’immobilità di questo luogo. Tra luci ed ombre, seduto sulla panchina dei pazienti, c’è il coraggio di chi ogni giorno fa il proprio dovere. Avverto l’amabile resistenza di quegli occhi sorridenti, dai quali riesco a leggere l’umiltà delle radici.
Il costruire lento ed incessante della gente, il presente nelle loro mani.
E’ sera e c’è silenzio. Un po’ di riposo prima di ritornare ai ritmi del giorno. E allora buonanotte ai cani abbandonati, ai randagi che non hanno conosciuto l’amore.
Do la buonanotte a questo angolo di mondo da reinventare, specchio di tutto un mondo da reinventare. Il fascino delle cose vissute e di quelle da ricostruire.
Un mattone dopo l’altro, si costruisce e ricostruisce.
La quiete delle strade di casa è un respiro che mi accompagna quando sono lontana, la fotografia della tua infanzia.
I palazzi invecchiati, i tetti in costruzione, passato e futuro convivono.
Le vecchie generazioni raccontano, saggezza e logorio della fatica presente. Le nuove generazioni si alimentano delle loro storie, e incalzano nella nuova storia da scrivere.
Un locale, la musica dal vivo, ed una birra in compagnia. Piccole gioie, grandi speranze.
Noi giovani siamo gli oceani in cui confluiscono i fiumi di coloro che ci hanno preceduto. Acque immense, agitate, nei cui fondali trovare ricchezze.
Non bastiamo a noi stessi perché abbiamo fame di vita, fame di scoperte, di novità.
Lo spazio che abito è un luogo stretto a volte…ma grande abbastanza da non smettere di credere.
Il corso del tempo insegna ad avere la forza di credere, nonostante gli inciampi della realtà.
Un bambino mano nella mano stretta del suo papà, un gelato e la felicità.
E’ tutta una questione di scelte, si comincia da piccoli con i gusti del gelato e si finisce con lo scegliere il lavoro. Nessuno ti prepara, nessuno ti indica la strada, ti prende per mano e ti accompagna a scegliere i gusti.
E forse è giusto così. Liberi di scegliere, liberi di sbagliare, crollare, rialzarsi.
La libertà delle piccole cose, nonostante le imperfezioni del nostro presente, è il tesoro più grande che abbiamo.
Accendo il televisore e nel mondo succedono tante cose brutte. E allora, i colori delle stagioni che si ripetono sulle foglie degli alberi sotto casa, i gesti, sempre uguali, delle persone che incontro, il cibo caldo che ritrovo ogni domenica in famiglia, il viso disteso degli anziani che camminano a passo lento, il bambino sull’altalena, la musica, non mi sembrano poco.
Il decadente che sopravvive, il cerchio che non si chiude. Il vento che si muove libero, tra i rami secchi.
Correre, dobbiamo, noi che possiamo. Gridare, dobbiamo, perché abbiamo ancora la voce.
E’ gratitudine, è senso di appartenenza, è senso di umanità. Per tutti gli umani che non possono essere tali, cercare di sentire quel grido di aiuto.