Stiamo procedendo a fatica durante questa quarantena, che ogni giorno che passa sembra sempre più non avere un data di scadenza. La vita oscilla tra la spasmodica attesa del quotidiano bollettino del capo della Protezione Civile e la speranza che dal governo giungano segnali incoraggianti per il futuro del paese.
Le elucubrazioni sui possibili scenari ormai si sprecano. C’è chi sostiene che la nostra vita e le nostre abitudini cambieranno per sempre, ed i rapporti interpersonali abbiano subito un terremoto difficilmente sanabile. C’è chi ancora grida al liberticidio, temendo una soppressione definitiva di ogni conquista democratica dell’ultimo secolo. Per non parlare dell’isterica ricerca di qualsivoglia strumento di protezione, come guanti e mascherine. Portando taluni, in ultima analisi, a girare per la strada con mascherine fai da te, dalla dubbia efficacia.
Visto il tanto tempo a disposizione di tutti quanti noi studenti, lavoratori, pensionati e prima di tutto cittadini, sarebbe opportuno sfruttarlo per placare i facili istinti che ci stanno pervadendo e razionalizzare al massimo quello che sta succedendo.
Ritengo opportuno in questo clima, senza passare per cinico o peggio, superficiale, ricondurre i nostri sentimenti ad un unico supremo valore che in Italia scopriamo di avere solo ogni quattro anni, ogni qual volta undici uomini con la maglia azzurra scendono in campo per rappresentare il nostro splendido paese ai mondiali di calcio: il patriottismo.
Mi dispiace dirvi da subito che cantare l’inno di Mameli dal balcone delle nostre case alle diciotto, tutti in coro, non serve a far crescere il senso dello stato. O almeno non basta.
Ognuno di noi, ritrovando la calma dovrebbe rendersi conto che tutto ciò che stiamo facendo e tutto ciò che ci viene chiesto di fare non è rinunciare alle nostre amate libertà civili o di smettere di mostrare qualsivoglia tipologia di affetto. Ma in realtà, ciò che -ahimè- ci è stato pregato di fare è avere profonda coscienza civile, rispettando le regole sino in fondo, avendo cura di non trasgredirle e facendo in modo che nessuno le trasgredisca.
Venendo poi al nodo della questione, è fondamentale che questo profondo patriottismo, sublimi in un sentimento di fiducia verso le istituzioni e verso chiunque si stia occupando della gestione di questa emergenza, dalla protezione civile a tutto il personale impiegato nelle strutture ospedaliere.
Purtroppo, questo è il passo più difficile. Come per i mondiali di calcio, dove tutti si sentono in dovere di criticare le scelte del commissario tecnico, non rendendosi conto che ciò non fa altro che danneggiare la squadra e innervosire l’ambiente; così per questa pandemia ciascuno dice la sulla diffusione del virus o riscrive i decreti governativi, generando il caos, ed è molto spesso panico immotivato.
Ma si sa, l’Italia è un paese di Santi, Poeti, Navigatori, Allenatori e dopo questa pandemia di Virologi, Immunologi, Funzionari del Governo e Capi della Protezione Civile.
Esemplari portatori sani di questo splendido senso dello stato, di fiducia e soprattutto di speranza sono i su menzionati medici, infermieri, biologici, e tutto il personale sanitario impiegato in prima line a gestire questa emergenza. Ogni giorno sono decine le testimonianze sulle televisioni e sui social, di queste persone, che soffrono, combattono -loro per davvero-, e cercano al massimo delle loro forze di arginare questa situazione. Dalle loro parole si coglie tanta fatica, a volte disperazione, ma tanto orgoglio per quello che ogni giorno fanno.
Sarebbe bello se tutti assumessimo questo senso di orgoglio e riuscissimo a dare ancora più forza alle persone che lottano per tutti noi.
Nel mio piccolo spero che questa pandemia, oltre che scomparire presto naturalmente, regali a questo meraviglioso Paese quel senso di unità, coesione e patriottismo che- sono sicuro- non abbiamo perso, ma solo nascosto sotto una valanga di differenze culturali, sociali e territoriali inutili.
Da oggi sfruttiamo il tempo a nostra disposizione per essere più lucidi, resistere con intelligenza a questa quarantena prolungata, imparando a sostenerci l’un l’altro da un metro di distanza o tramite lo schermo di un cellulare imparando a godere anche solo di uno sguardo o un sorriso. E vedrete che, citando un noto commentatore sportivo, presto torneremo ad abbracciarci forte e volerci tanto bene, perché quando ne usciremo sarà più bello essere Italiani. Quasi come quella notte del 9 luglio 2006. O quasi.