Ryan Murphy, celebre autore e creatore di serie cult quali American Horror Story e Glee, non è nuovo al trattare il tema de il-diverso-non-è-diverso-perchè-siamo-tutti-uguali , anzi è tanto insito nelle sue produzioni che possiamo senza dubbio affermare che la divulgazione di tale messaggio sia la sua principale missione e ragione di vita. È anche un fan sfegatato del “volemose bene” finale in cui i cattivi non sono mai cattivi, i buoni in un modo o nell’altro se la cavano e le brutte azioni diventano un ricordo lontano e sbiadito.
Il tutto condito da messaggi che spesso lasciano lo spettatore inquieto, turbato, anche se relativamente in pace con se stesso e cosciente della lontananza fisica ed emotiva tra ciò che vede e la vita vera, soprattutto se guardiamo la serie che più sta attirando l’attenzione del pubblico televisivo americano al momento: American Horror Story.
Per chi non la conoscesse, ecco una breve descrizione: ogni stagione è auto-conclusiva e si preoccupa di sviluppare una trama intorno ad un luogo o ambito ben preciso, circondando i protagonisti di orrori reali (stupri, omicidi) o paranormali (fantasmi, demoni, mostri) con cui confrontarsi. Se la prima stagione trattava di una casa stregata, la seconda di un manicomio e la terza di una congrega di streghe, con questa quarta stagione Murphy mette da parte (anche se leggermente, perché non può farne a meno) il paranormale e decide di concentrarsi sui “Monsters among us”, come è intitolato il primo episodio, e mettere in scena, letteralmente, i “freaks”. Questi, non sono altro che normali esseri umani con deformazioni fisiche o mentali più o meno evidenti, che negli anni 50, non potendo lavorare in un normale ufficio o cantiere, si organizzavano in circhi itineranti per mostrare le loro anormalità.
A inquietare lo spettatore questa volta non è quindi un’entità esterna, ma una realtà tangibile; deve andare oltre e accettare la presenza di una donna con due teste, una barbuta, un uomo con braccia cortissime e un altro con tre dita per mano. E aldilà delle apparenze vedrà la normalità, il non essere così mostri come tutti vorrebbero vederli.
Perché questo è lo scopo primario dello show.
Ma c’è un elemento, in questa serie, che turba più degli altri, che impedisce di vedere la serie come una storia a sé, che ti accusa come spettatore ed essere umano di guardare ma non vedere quello che realmente dovrebbe preoccuparti: il vero mostro.
Nella assurdità del contesto della serie tv, tra clown con istinto omicida e freaks dal lato oscuro, Murphy ha mostrato il mostro peggiore tra tutti quelli da lui portati sullo schermo. Il personaggio più grottesco è infatti un ragazzo, Dandy, un pluri-ventenne viziato, cresciuto nella ricchezza e che ha visto la continua soddisfazione dei suoi capricci. Trattato dalla madre come un eterno seienne, un grave sentimento lo angoscia: la noia. Determinato a evitarla, ogni azione si sviluppa intorno al tenersi impegnato. Vuole essere intrattenuto e divertito, finchè non decide di intrattenersi da solo, uccidendo. Asettico e apatico verso gli altri, il mondo esterno viene visto come nient’altro che una scenografia variopinta in cui tutto è finalizzato a soddisfare il suo piacere personale. Il male che infligge non lo riguarda.
Se non siete già turbati, soffermiamoci un attimo su questo ragazzo. Viziato, ricco, indifferente alla vita e a tutto ciò che lo circonda, si annoia. Si annoia e tutto è lecito per non esserlo più.
Quante volte abbiamo sentito di fatti di cronaca terribili compiuti da ragazzi apparentemente rispettabili, che svolgono le peggiori azioni, forti della loro supremazia sociale ed economica, e giustificano il proprio operato etichettandolo come uno scherzo, un momento di noia, una ricerca del piacere personale finita male. Possiamo pensare al più recente stupro di gruppo perpetuato da un gruppo di ventenni verso un ragazzo con un compressore; le dichiarazioni di una delle madri degli aggressori ancora oggi genera disgusto, mentre ribadisce l’innocenza del suo bambino e la natura scherzosa del gesto. Oppure basta anche pensare al più noto “massacro del Circeo”.
Ringraziamo quindi caldamente il signor Ryan, che stavolta ha superato se stesso e portato l’horror nella nostra quotidianità. E se c’è un aspetto,su cui dovremmo soffermarci tutti, è: siamo sicuri che l’orrore sia ciò che non conosciamo, che consideriamo “alieno” e non quei soggetti che popolano la nostra realtà, frutto della noia e dell’indifferenza dei tempi moderni?
Nasce a Cosenza nel 1993. Laureata in Scienze Politiche, convive con una memoria straordinaria per fatti assolutamente irrilevanti. Da brava millennial, ha un account attivo su ogni social, ma il suo preferito rimane Twitter.