Con gli ascolti sempre più alti, i numeri di ascoltatori sulle piattaforme di streaming in crescita e i passaggi in radio, Sanremo torna a quella brillantezza che sembrava essere perduta. Anche gli addetti ai lavori confermano l’esplosione della nuova epoca dorata di Sanremo, frutto di un progetto portato avanti negli ultimi dieci anni e dovuto alla necessità di rinnovare un format appiattito. Quando a fine anni Novanta iniziò la crisi delle vendite dei prodotti musicali fisici, artisti e case discografiche cominciarono a mostrare un interesse minore per il Festival e la qualità delle canzoni in gara si abbassò notevolmente. La RAI, che solo dal 1994 gestiva direttamente il Festival attraverso una convenzione con il Comune di Sanremo, decise allora di trasformare la gara in un varietà in cui la musica era solo uno degli elementi al suo interno, alla ricerca di un impatto televisivo immediato e a discapito delle canzoni, che spesso non approdavano nemmeno in radio. Tra il 2004 e il 2010 abbiamo assistito a edizioni vinte per lo più da concorrenti provenienti da talent show oppure artisti semi sconosciuti che semplicemente presentavano il brano giusto. La prima inversione di rotta si registra nel 2013 con la conduzione di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto e la ferma intenzione del direttore artistico di portare sul palco un cast che rispettasse il «il senso della musica di oggi». Se è vero che gli ascolti non andarono benissimo, bisogna riconoscere a Fazio il merito di aver riportato all’Ariston la musica che funzionava nelle classifiche, nei locali e nei palazzetti. Grazie ai conduttori e direttori artistici successivi, Carlo Conti e Claudio Baglioni, presero corpo il criterio della radiofonicità e la qualità delle canzoni aumentò ulteriormente quando quest’ultimo portò il limite massimo della durata delle canzoni a 4 minuti. Dal 2019, con la vittoria di Mahmood, si è attivato un circolo vizioso che ha riavvicinato i giovani al Festival, nuovamente in grado di soddisfare anche i loro gusti e la spinta incredibile dello streaming ha rivoluzionato l’approccio alla kermesse: Sanremo è diventata la vetrina perfetta, l’occasione per cui prepararsi per mesi e cui presentarsi nella miglior condizione possibile. I tre anni di conduzione e direzione artistica di Amadeus hanno definitivamente riportato il Festival ai fasti del passato, consacrati dalla vittoria dei Maneskin – a Sanremo prima e all’Eurovision Song Contest poi – a dagli ascolti incredibili dell’ultima edizione. Al tempo stesso, il Festival si dimostra, come sottolineato da Luca Barra, un vero e proprio «antidoto alla frammentazione», un momento in cui ritrovarsi tutti insieme, davanti al televisore, per condividere un rito collettivo.
Quel che non dobbiamo dimenticare, mentre cala il sipario e si spengono le luci, è la grande crisi che attraversano il settore della musica e i suoi addetti ai lavori, ancora senza diritti e adeguate leggi a tutelarli. A distanza di due anni dall’inizio dell’emergenza sanitaria, nonostante le riaperture e l’inserimento della Cultura tra gli asset principali della ripartenza, le istanze del settore a tutela degli spazi culturali in Italia – come la proposta di legge n.3205 depositata lo scorso 13 luglio alla Camera – sono rimaste sui tavoli, ricoperte da uno strato di polvere che si ispessisce, giorno dopo giorno. Se è vero che i luoghi dello spettacolo non sono stati chiusi, le regole vigenti impediscono il ritorno alla normalità. È tempo, invece, di tornare a occuparci di cultura, che è lavoro, libertà e salute. Per tutti.
Già pubblicato su L’Altravoce dei Ventenni-Quotidiano del Sud 14/02/2022