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Il problema delle armi negli Stati Uniti

Esistono tematiche che sono talmente radicate nella cultura di un Paese da risultarne in ultima analisi come una componente esistenziale dello stesso. Talmente profonde e all’apparenza irrisolvibili che, osservandole dall’esterno, sarebbe impossibile comprenderne anche marginalmente la natura.

In Italia accade con il fascismo, un tema che chi beneficia di un titolo di studio elementare avrebbe ben ragione di ritenere tramontato circa un’ottantina d’anni fa. E, sebbene sia irrealistico pensare che, allora, nottetempo, ogni traccia ne svanisse per sempre, è quasi folle che se ne parli quotidianamente come un tema d’attualità nell’anno 2023, tra nostalgici, negazionisti, revisionisti e rinnegati di dubbia convinzione.

Dovessi scegliere qui, negli Stati Uniti, un tema portatore di quella fiamma destinata a non estinguersi mai, punterei il dito contro quello relativo al controllo delle armi. L’uso e la diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti continua ancora oggi a essere di grande rilevanza e sono rari i giorni in cui non vi sia traccia sui giornali di un delitto o una strage in qualche parte del Paese.

Vero, gli Stati Uniti contano oltre 330 milioni di abitanti e nelle statistiche assolute gioca anche un ruolo il denominatore. Ma, al tempo stesso, quando si passa ai dati relativi, sconcertano due statistiche, come quella del Pew Research Center, che rileva come circa il 30% degli adulti americani possieda un’arma da fuoco e quella – ancora più inquietante – che vede gli Stati Uniti al primo posto per tasso di omicidi tra i Paesi del mondo sviluppato. Insomma, anche qui non è necessario vantare una Laurea per ipotizzare una connessione tra le violenze e l’ampia disponibilità delle armi da fuoco utilizzate per compierle.

All’origine del problema, gli Stati Uniti vantano una lunga tradizione culturale di possesso di armi da fuoco, sancita dal Secondo Emendamento della Costituzione americana. Questo diritto è profondamente radicato nella storia e nell’identità del Paese, ma le crescenti statistiche sulla violenza armata hanno messo in discussione la sua applicazione. 

C’è da dire che in un Paese federale, in cui vi è si una costituzione, ma anche 50 Stati che legiferano ampiamente motu proprio, esiste un mosaico di leggi atte a rendere più o meno ostico l’accesso alle armi. Per intenderci, mentre negli Stati della East Coast e West Coast le norme spesso sono assimilabili a quelle vigenti in EU, negli Stati dell’America centrale fino a pochi anni fa (per la precisione, fino all’uscita del capolavoro di Michael Moore “Bowling for Columbine”), si potevano trovare armi da fuoco nei supermercati. Eventi tragici come le sparatorie di massa hanno portato alla ribalta l’urgenza di affrontare il problema a un livello federale e di trovare soluzioni efficaci per garantire la sicurezza dei cittadini. 

Chi si oppone, lo fa spesso in nome della sconfinata libertà che questo Paese garantisce ai suoi cittadini. Ogni forma di restrizione viene vissuta come un sopruso, un attacco allo spirito dell’America. Ritengono che il problema non risieda tanto nella disponibilità delle armi, quanto nella necessità di affrontare le cause profonde della violenza, come la salute mentale, l’istruzione e l’accesso alle opportunità di lavoro. 

Un altro aspetto cruciale della questione riguarda il ruolo dell’industria delle armi da fuoco e il potere politico che essa esercita. Dopotutto, a comandare qui negli Stati Uniti sono sempre i soldi. Le lobby delle armi, come la potentissima National Rifle Association (NRA), hanno budget profondissimi ed esercitano una forte influenza sui legislatori, riuscendo spesso a ostacolare qualsiasi tentativo di riforma.

Risultato? La questione delle armi torna periodicamente al centro dell’attenzione ogni volta che viene compiuta una strage di rilievo, tra le più recenti il massacro alla scuola elementare di Sandy Hook nel 2012, il massacro alla scuola superiore di Parkland nel 2018 e gli attacchi alle chiese di Charleston nel 2015. E quando accade, il Presidente di turno promette di attivarsi per regolamentare la vendita e il possesso di armi, quasi sempre tornando a casa con un pugno di mosche. Siamo abituati a identificare i Paesi per le loro bandiere, lingue, piatti tipici, meriti sportivi e una marea di stereotipi, ma dimentichiamo spesso di considerare le loro questioni irrisolte e problemi atavici come parte fondante di quella cultura che, comunque sia, li rende unici.  


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

Fabio Bartolo
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