Solitamente ho sempre una vaga idea su come sviluppare l’articolo, un’idea che arriva all’improvviso e che diventa la radice del mio albero/articolo. Stavolta, oltre a una preoccupante amnesia, mi ritrovo davanti al pc in preda al buio più totale. Immagino si sentano così gli scrittori vittime del blocco dello scrittore. Non che io mi definisca tale, ma presumo che l’occhio fisso e spiritato sia lo stesso; immagino sia la stessa la ricerca frenetica di un appiglio.
Guardo la tv, pubblicità di Natale ovunque. No, nessun aiuto. Pandoro, panettoni, babbo natale, bimbi, bambini felici… che poi, se ci pensiamo, chi coglie appieno lo spirito natalizio sono i bambini.
Nella mia città hanno allestito un mercatino natalizio, e fra le tante bancarelle ce n’è una meravigliosa, una di quelle che vedi nei film: c’è un Babbo Natale che ascolta i bimbi, quelli piccoli piccoli che ancora ci credono, che ancora hanno la bellezza dell’innocenza. E saranno state le luci, sarà stato che lo spirito natalizio ha intaccato anche il mio cinismo, ma sentire quelle risate è stato qualcosa di così bello che non te l’immagini. E non si tratta di stucchevole e prevedibile bellezza, del tipo che se vedi un bimbo che ride e non ti intenerisci sei praticamente un mostro. No, è nostalgia.
Se ripenso al natale mi vengono in mente due bambine che recitavano poesie, per lo più ripetitive, a un nonno e a un papà adoranti. A una cucina profumata e chiassosa, a un caminetto scoppiettante e fumoso, a frutta tropicale, a un tavolo con la tovaglia bianca e rossa. Ad aspettative talmente tanto grandi che non riuscivi a trattenerle, e allora ridevi, ridevi per buttarne un po’ fuori, che tanto ne bastavano per tutto l’anno, a una fervida immaginazione su quello che sarebbe accaduto, come se il natale fosse un portafortuna. I regali erano belli anche se inutili, era l’idea dello scartare ad essere bella, la sorpresa non era sempre positiva, ma l’attesa sì.
Ad oggi la cucina è sempre la solita, forse un po’ più sbrigativa, la tovaglia bianca e rossa sopravvive, se poi mi chiedessero se lo stesso vale per le mie aspettative, beh, è un’altra storia. Non è pessimismo, non è paura del cambiamento, è la realtà, è la maturità (o quasi), è la consapevolezza che solitamente la terra non gira come vorresti, e se lo fa mai quando te l’aspetti, è l’aver preso tante batoste che sai di saper trovare la forza di ridere, ma sai anche che sapore hanno le lacrime. È il capire che la vita non la capirai mai, che il natale non sarà mai più bello come quando avevi 10 anni, ma penso vada bene così, basta che il vizio di ridere non si perda. Quella che ormai penso sia perduta è la semplicità della risata dei bambini.
E poi il caso ha voluto che io stia leggendo di due bambini, di Alice e Nico. La scrittrice è Amabile Giusti, calabrese, avvocato anche se non si sente un avvocato. La sua vita è scrivere. Che poi adori Jane Austen, le ceramiche e i manga giapponesi, dal mio punto di vista, sono solo altri punti a suo favore.
“Solo non si vedono i due liocorni” è una storia cruda e disincantata pur essendo raccontata da Alice,11 anni, e Nico, 14 anni. Ambientata in un paesino del sud Italia, mai nominato, ma di facile intuizione, è la storia di un’amicizia tra detriti e polvere. Alice ha il nome non della protagonista del famoso romanzo, ma dell’acciuga; vive con una madre sciatta e sporca, con una dignità che non si capisce bene da dove faccia capolino e un passato dei più rumorosi; una sorella ostile e difficile; un patrigno taciturno e incomprensibile. Nico ha i denti fragili e lividi che si intonano al suo colore degli occhi; vive con il padre, manesco iroso e nullafacente, convinto, pur tuttavia, di essere infallibile; lavoricchia quando può, e quando non può è “costretto” a rubare; è innamorato di Mara l’unica che si oppone ai lividi di Nico, acqua fresca nella calura della sua vita. Alice e Nico non si conoscono per caso, si riconoscono per caso. Alice “sembrava di vetro, no, di cristallo, di quello più sottile, che basta una spinta e grandina cocci.”, ma Nico si rivede in lei, perché pur avendo paura della vita “lui non scappava via in quel modo, lui affrontava persino le sberle di suo padre restando diritto, lui non piangeva da sei anni e sette mesi e dodici giorni,… ma gli sembrava che quella bimba minuta avesse lo stesso sguardo che era stato il suo fino a sei anni sette mesi e dodici giorni prima.” Alice ha la semplicità di una bimba e la complessità di un adulto, è tenera e dura, guarda il mondo come se fosse pulito, pur essendo ben consapevole dello squallore che la circonda, si rifugia nella sua immaginazione. Nico ha una faccia da malandrino, vorrebbe essere dolce e ingenuo e non può, vorrebbe essere un ragazzo dalla faccia pulita e gli viene negato dalla vita.
Amabile Giusti dà a questo romanzo un titolo molto incisivo: i liocorni sono la coppia di animali che Noè per disattenzione abbandona sulla terra, prima del nubifragio che ripulirà la terra dal male degli uomini. Alice e Nico sono i due liocorni di questa storia, se riusciranno a salvarsi devo ancora scoprirlo, chi lo sa, ma io credo di si.