“Viaggiare serve a capire gli altri, quindi a capire che la differenza, la diversità, è un valore, non un problema. Ma c’è una cosa che è ancora più importante: viaggiando si vede l’Italia; e capiscono finalmente che razza di fortuna hanno avuto a nascere italiani, questi ragazzi. […] Questa italianità, questa bellezza, è una cosa a cui purtroppo tanti si sono assuefatti e la vivono in maniera quasi indifferente. […] Noi italiani siamo come dei nani sulle spalle di un gigante, tutti. E il gigante è la cultura, una cultura antica che ci ha regalato una straordinaria, invisibile capacità di cogliere la complessità delle cose. Articolare i ragionamenti, tessere arte e scienza assieme, e questo è un capitale enorme. E per questa italianità c’è sempre posto a tavola per tutto il resto del mondo.”
Renzo Piano
Sarò sincera: io non volevo partire.
Da megalomane con aspirazioni internazionali quale sono non m’interessava tanto quale fosse la località, purché fosse il più lontano possibile dall’Italia, e dall’Europa.
Quando scoprii che la meta assegnatami sarebbe stata Vienna ero delusa: dov’era la grande svolta, il cambiamento radicale? Comunque, caparbia per natura, non avrei mai rinunciato a una tale opportunità e quindi, dopo aver sbrigato le varie procedure burocratiche, seppur con svogliatezza, mi sono trasferita a Vienna.
Un po’ per i pregiudizi che avevo, un po’ perché non parlavo minimamente il tedesco, l’impatto con una città in cui il nome di ogni strada è lungo almeno quindici lettere, di cui dieci sono consonanti, e famosa per la freddezza e scontrosità della sua popolazione, non è stato di certo dei più facili. Per non parlare dei primi giorni alle prese con mezzi pubblici, menu illeggibili, e con il dormitorio: tipica architettura tedesca ultra-moderna, una colata di cemento grigio intervallato da pannelli di vetro e rifiniture in alluminio a vista. A metà tra un ospedale psichiatrico e una caserma militare.
Ero avvilita.
Mi ci è voluto poco però per risollevarmi, giusto il tempo di accorgermi che in realtà non sarei stata molto in quella stanza, tra la vita universitaria in campus e la vita notturna che iniziava il lunedì con il Ride Club e finiva il sabato con il Säulenhalle. Con Billa e Despar, supermercati che si trovano comunemente anche a Milano, fare la spesa in tedesco non sarebbe stato un grande problema. E così ho iniziato a vivere pienamente la mia nuova vita in quella nuova città. Le mie giornate sono trascorse tra una passeggiata in mezzo alle infinite rose del Volksgarten e il rito pomeridiano di Wiener Melange e Sachertorte in uno dei mille caffè viennesi.
A Vienna il tempo sembra essere nelle tue mani; tutto è elegante, lento, fluido ed armonioso. Durante una lezione il professore di Cross-Cultural Competence ha citato Helmut Qualtinger: “Österreich ist ein Labyrinth, in dem sich jeder auskennt”, che significa “L’Austria è un labirinto, in cui ognuno trova la sua strada”.
Anch’io avevo trovato la mia strada, la mia dimensione.
Ho trovato delle cose che mi piaceva veramente fare; dei professori, dei corsi, che mi permettevano di appassionarmi davvero a quello che stavo studiando, e non soltanto perché c’era un esame da superare. Senza contare l’enorme differenza nell’organizzazione universitaria a livello sia burocratico che di strutture e servizi per gli studenti. Ho trovato delle persone che sono state non solo ottimi compagni di viaggio, ma soprattutto veri amici. Ho conosciuto ragazzi provenienti da ogni parte del mondo: Croazia, Indonesia, Ungheria, Francia, Repubblica Ceca, Brasile, Russia, Canada, Turchia, Cina, Stati Uniti, Grecia, Finlandia. Da ognuno di loro sono sicura di aver imparato qualcosa: di certo ho imparato ad abbattere quel muro di pregiudizi che l’ignoranza molto spesso erige e che impedisce di conoscere una persona per quello che è, e non per quello che luoghi comuni dicono di lei. Ma soprattutto ho potuto capire quello che gli altri pensano dell’Italia, in positivo ed in negativo: e vi assicuro che anche questo serve. Perché serve, da un lato, ad apprezzare quelle cose che neanche noi italiani ricordiamo più di avere, tutto ciò che dovrebbe invece rappresentare il nostro orgoglio; e dall’altro a farsi portavoce di un cambiamento per tutte quelle altre cose che, per nostra indolenza o inerzia, oscurano tale bellezza.
Non sarete mai soli in questo percorso, grazie alle numerose reti di ragazzi con cui verrete a contatto: da quelle ufficiali come l’Erasmus Student Network, o l’Erasmus Buddy Network, a quelle che si creano spontaneamente in ogni ambiente in cui vi troverete, come il vostro dormitorio, i vostri corsi, il torneo di calcio/pallavolo/ecc., il gruppo degli italiani all’estero, sempre presente.
Adesso che sono tornata, e mi manca persino la mia piccola stanzetta viennese, vorrei fosse questo il momento in cui ancora tutto doveva iniziare, quando avevo quel timore misto a curiosità, tipico di chi sta per affrontare una nuova esperienza. E in quel momento, vorrei che qualcuno mi ripetesse quelle parole che spesso sentiamo dire banalmente, ma che io ho capito soltanto dopo quattro mesi: non è la destinazione, ma il viaggio che conta.
Nata nel 1991 a Palermo, dal 2009 vive a Milano; ha trascorso l’ultimo anno in giro per il mondo, spostando il suo domicilio da New York a Vienna. Laureata in Economia Aziendale all’Università Bocconi, sta per terminare un percorso di laurea specialistica in Management presso lo stesso ateneo. Curiosa e frenetica, si descriverebbe con il famoso detto “Chi si ferma è perduto”. Ama viaggiare, non vivrebbe nello stesso posto per più di sei mesi consecutivi. Costantemente in equilibrio tra l’ossessione di pianificare ogni singolo istante della sua vita, e la continua ricerca di libertà e avventura che la contraddistingue.