Persone e Personaggi – “I Personaggi Collaterali”

personaggi collaterali
Persone e Personaggi è la nuova rubrica ispirata a tutte le categorie di persone (e personaggi) che ho incontrato fino ad adesso. Sono fiduciosa che in ognuno dei miei personaggi sarete in grado di identificare “quella” persona che ha fatto parte della vostra vita. Infatti, “quando un personaggio è nato, acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che può esser da tutti immaginato in tant’altre situazioni in cui l’autore non pensò di metterlo, e acquistare anche, a volte, un significato che l’autore non si sognò mai di dargli!”.


 

Per chi cade nella colpa, signore, il responsabile di tutte le colpe che seguono, non è sempre chi, primo, determinò la caduta?”

Luigi Pirandello

 

Per quanto mi riguarda, si possono considerare due distinte fasi della vita, rispetto alle quali il valore dell’amicizia, e dei rapporti in generale, assume un significato nettamente diverso.

In una prima fase, infantile, adolescenziale, è apparentemente la quantità di amici di cui riusciamo a circondarci che ci rende più o meno appagati.

In quel periodo, vince sempre chi va d’accordo con il maggior numero di persone, chi è più affabile, accondiscendente, forse meno passionale. Perché, sì, anche le storie d’amicizia si vivono con passione.

Dunque: io non sono mai stata particolarmente affabile, e forse non sono neanche tanto accondiscendente. Per andare d’accordo con me, bisogna capirmi profondamente e garantirmi fedeltà. Sono passionale, sì. Ogni persona, per me, ha un significato diverso dall’altra: non esiste amico di cui io non conosca i vizi, i segreti, i desideri. L’amicizia è dedizione intensa, oppure non è amicizia.

Per questo, la prima fase è stata particolarmente dura per me. Le mie amicizie si potevano sempre contare sulle dita delle mani: relazioni stabili e durature, che si mantenevano con un quotidiano impegno di affetto e vivevano di routine costruite poco alla volta. Ed è tutt’ora così.

Per qualche tempo però, ho provato anche io a mettere da parte la mia natura, e a circondarmi di più e più persone: persone su cui sapevo di non poter contare, persone di cui non conoscevo nulla davvero. Quelle amicizie sono di gran lunga più facili da gestire. Ma si tratta soltanto di Personaggi Collaterali.

Non che a queste persone non abbia voluto, o non voglia tutt’ora, bene. Ma arriva un momento della vita, ed è questa la seconda fase, in cui noti che c’è una grande differenza tra l’aver piacere, e l’aver voglia, di passare del tempo con qualcuno.

Se incontrare un amico diventa quasi un obbligo, una formalità, un “non ci vediamo mai”, un appuntamento che non sempre metteremmo al primo posto tra le nostre priorità o preferenze, ma soltanto tra le “cose da fare”, significa che, inconsciamente, non siamo del tutto a nostro agio, liberi di poter essere noi stessi in tutte le nostre sfaccettature, con quel Personaggio Collaterale.

Quando trovi qualcuno con cui non stai semplicemente bene insieme, ma con cui ti senti a casa, in modo naturale, senza bisogno di elementi superflui, di altra gente, di particolari eventi, di precisi discorsi, capisci che non hai più voglia di consumare neanche una minima parte delle tue energie con Personaggi Collaterali, secondari.

Non che il rapporto con il Personaggio Collaterale sia meno vero; non che uno dei due, o entrambi, abbiano colpe per questa relazione mal formata, per questa amicizia, giustamente, non alimentata a sufficienza.

Semplicemente, ho scoperto che le relazioni Collaterali mettono radici nelle nostre abitudini, in pensieri ed accadimenti che possiamo condividere con gli altri. Ma le abitudini cambiano rapidamente, e anche quando quelle non cambiano, cambiamo noi. Da un momento all’altro, cambiamo modo di pensare, di parlare, di giudicare, di desiderare e anche di volere bene.

Ho trascorso tanto tempo per volere a tutti i costi coltivare delle amicizie, seppur sincere, impalpabili, astratte, legate allo sfondo, al contesto.

I rapporti più profondi invece, soltanto all’apparenza sono fondati sulle “cose che abbiamo in comune” che cantava Silvestri: questi, in realtà, nascono da una reale e totale comprensione e accettazione l’uno dell’altro. A dire la verità, non c’è neanche bisogno di avere tanto in comune, con le persone che ci conoscono davvero.

[…] non si abbracciavano e non si sbaciucchiavano mai, si limitavano a parlare e c’era tra loro un’intesa profondissima che nessuno di noi sarebbe mai riuscito a capire. C’era anche una vena di strana freddezza e ostilità, in realtà si trattava di una forma di umorismo con la quale si comunicavano le loro speciali, sottili vibrazioni.” – J. K.