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‘I giovani devono viaggiare’ – Capitolo 2: gli stagisti.

“Bisogna che i giovani non si rassegnino alla mediocrità. Il nostro è un paese di talenti straordinari, i giovani son bravi e se non son bravi lo diventano. […] C’è una bellissima immagine, quella di un cerchio disegnato con un gesso per terra, e un giovane che ci sta dentro, ed è chiuso lì dentro. Basta alzare una gamba e scavalcare il segno di gesso per terra, per essere fuori e liberarsi.”

Renzo Piano

Tutti noi sappiamo che, di questi tempi, per quanto strabiliante sia la propria carriera universitaria, nonostante gli innumerevoli certificati di lingua e diplomi di informatica, pensare di affacciarsi al mondo del lavoro, insieme a milioni di altri giovani “affamati”, senza avere alcuna reale esperienza lavorativa è del tutto utopistico.

In realtà, la “gavetta” è sempre esistita; soltanto che adesso sembra essere quasi un’offesa laurearsi e non diventare nel giro di poco tempo top-manager, imprenditori navigati, ingegneri/architetti/medici ultra milionari. A qualche fortunato succede, è vero, ma non a tutti: e, mettiamocelo in testa, è questa la normalità! Evitando di cadere in discorsi socio-politici o economici, vi vorrei suggerire solo questo: se ne avete la possibilità, prendete un’esperienza di stage, qualunque essa sia, non solo come una sfida, ma anche come un’opportunità di crescita!

Durante la mia esperienza universitaria sono diventata anch’io ‘una stagista’, e vi assicuro che è stato uno dei tempi migliori della mia vita. Per indorare la pillola dello stage ho deciso infatti di tentare l’avventura all’estero, in modo da coniugare l’aspetto formativo a quello dilettevole, e così sono finita a vivere per tre mesi a New York.

I primi giorni ero terrorizzata, avevo paura di sbagliare, di essere rimproverata, di non capire cosa si aspettassero da me. Pian piano però si comprende come tutte le parole che all’inizio suonano tanto strane siano semplicemente modi di dire della nuova realtà in cui ci si è immersi, e che, adesso, fanno parte anche del proprio linguaggio. I processi che nei primi giorni ti hanno spiegato con tanta dovizia di dettagli, con i quali hai riempito pagine di appunti, sono naturalissimi gesti quotidiani che fanno funzionare gli ingranaggi.

Ad essere sincera però, devo ammettere che ciò che ha giocato a mio favore è stato l’aver scelto una piccola realtà aziendale, ed è quello che mi sento di consigliare anche agli altri. Partire da zero ed immergersi in una grande macchina lavorativa, di cui si è soltanto un minuscolo ed insignificante tassello, impiegato per svolgere attività routinarie e monotone, può compromettere il significato dell’esperienza e rovinarne l’aspetto educativo. Far parte invece di una piccola azienda, per lo più nelle mani di due o tre persone, in cui lo stagista è reso pienamente consapevole di ciò che accade giorno per giorno, di come realmente va avanti il ‘business’, è sicuramente più appagante e significativo.

Si è infatti così partecipi di fallimenti e successi, tensioni ma anche gioie dell’attività. Ed è così che il lavoro diventa non più un sacrificio, ma piuttosto uno sforzo positivo affinché ci si migliori.

Nel mio caso per l’appunto, sapevo esattamente dove iniziava e finiva il ruolo del mio capo, così come quello dei suoi collaboratori, dei suoi superiori, dei suoi clienti e dei suoi fornitori. E conoscevo l’importanza del MIO lavoro, della mia attenzione e della mia prontezza.

Certo bisogna mettersi in testa che fare la gavetta, soprattutto nelle realtà giovani e ristrette, può voler dire, qualche volta, tenere pulito l’ufficio, fare il caffè al cliente quando arriva, andare a comprare l’acqua se serve o buttare la spazzatura a fine giornata. Ma attenzione, non in quanto stagista, quindi ultimo anello della catena, ma in quanto qualsiasi ‘centro di interessi’ (per dirlo in termini economici), per funzionare bene, ha bisogno anche di questo!! Si tratta di collaborare tutti per un unico obiettivo, che da una parte è chiaramente economico, ma dall’altra è lo stesso fluido ed armonioso scorrere delle giornate all’interno dell’ufficio. Non pensate che queste mansioni siano frustranti o umilianti: in fondo tutti le facciamo ugualmente a casa nostra; allora perché non farle in ambito lavorativo, quando anche quello diventa un po’ casa?

Ovviamente non deve esserci unicamente questo, non è quello che intendo: i vostri compiti devono in qualche modo permettervi una crescita nella direzione di ciò che avete studiato negli anni sui libri, e contemporaneamente uno sviluppo a livello di maturità personale.

Cercate però sempre, in qualsiasi ambiente vi troviate, che sia come nel mio caso piacevole e costruttivo, o invece più ostile, di essere positivi e propositivi. E’ anche questo il vantaggio dello stage: NON è il vostro lavoro! Non dovete farci i conti per tutta la vita. Dura poco, è solo un’opportunità, e potrebbe anche servirvi a capire cosa effettivamente vi piace fare e cosa assolutamente non vi piace; quali sono le vostre reali attitudini, e quali aspetti della vostra personalità potreste mettere in campo in futuro.

Se poi, come nel mio caso, si riesce a trovare un contesto giocoso e solidale, e vi trovate a Manhattan (!!!), l’esperienza diventa senza dubbio unica. Non solo ho instaurato un ottimo rapporto con capi e “colleghi” (tanto che spesso ho potuto partecipare con loro a pranzi, cene ed eventi vari), ma ho anche colto al volo tutte le potenzialità, e le stravaganze, che la ‘città che non dorme mai’ offre: spettacoli teatrali, partite dell’NBA, rooftop con vista mozzafiato, ristoranti multietnici, i bar del proibizionismo, i costumi di Halloween, il tacchino per il Thanksgiving, il pattinaggio a Bryant Park, il gospel di Harlem, lo shopping sulla 5th Avenue, l’Empire State Building, gli artisti del Central Park, il brunch della domenica, Times Square, il MoMa e il Met. Sì, esiste tutto davvero! Ed è proprio come si vede nei film.

A questo aggiungete l’aver conosciuto delle persone straordinarie, che sono diventate quasi una seconda famiglia, e l’aver avuto la possibilità di venire a contatto con gente proveniente da tutto il mondo, un arricchimento culturale e personale.

E allora, uscite dalla vostra ‘comfort zone’, buttatevi in questa avventura con un atteggiamento favorevole, e vedrete che il mood alla Frank Sinatra, “if I can make it there, I’ll make it anywhere”, sarà dalla vostra.

It’s up to you.

(Prendete esempio dai protagonisti del film The Internship!)

 
Martina Tagliavia
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Nata nel 1991 a Palermo, dal 2009 vive a Milano; ha trascorso l’ultimo anno in giro per il mondo, spostando il suo domicilio da New York a Vienna. Laureata in Economia Aziendale all’Università Bocconi, sta per terminare un percorso di laurea specialistica in Management presso lo stesso ateneo. Curiosa e frenetica, si descriverebbe con il famoso detto “Chi si ferma è perduto”. Ama viaggiare, non vivrebbe nello stesso posto per più di sei mesi consecutivi. Costantemente in equilibrio tra l’ossessione di pianificare ogni singolo istante della sua vita, e la continua ricerca di libertà e avventura che la contraddistingue.