Glee fa schifo

Di Chiara Allevato

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Oggi voglio raccontare una storia. Ha tutto: pathos, dramma, risate e un finale triste per le amanti della filmografia di Ryan Gosling.

C’era una volta ogni singolo adolescente del mondo che, come me, nei momenti in cui l’immaginazione era troppa e le valvole di sfogo erano poche, dipingeva scenari degni dei miglori videoclip anni 90 in cui si cantava la canzone desiderata all’interlocutore/oggetto dei nostri pensieri. Ecco che allora l’adolescente in questione scopre che esiste una serie tv che, non solo mette in scena intrecci amorosi o amicali degni di un novello Beverly Hills 90210, ma fa sì che i protagonisti esprimano i propri sentimenti attraverso le ballad che lo stesso adolescente, amante della musica, ascolta in quel periodo.

Questa serie è Glee. Unica e innovativa nel suo genere, le relazioni al suo interno non solo sono condite da battute rapide e brillanti e messaggi di vita nascosti sapientemente, ma viene sfruttato l’espediente dell’ambientazione (il glee club, ossia il gruppo corale della scuola) per usare le hit del momento al posto di lunghe chiacchiere noiose (leggasi in riferimento a “La vita segreta di una teenager americana”).

In più, il tema principale che traina i protagonisti nel loro percorso di vita è l’accettazione del diverso, l’essere se stessi e tutte quelle chiacchiere che ora a 20 e più sembrano banali, ma di cui ogni adolescente ha bisogno.

La prima stagione ha un grande successo, i temi adolescenziali più difficili vengono trattati con un delicato mix di ironia e serietà che non lascia al caso alcuna delle storyline dei protagonisti, ci sono numerose guest star di un certo spessore e le canzoni sono il giusto compromesso tra la moda del momento e grandi classici. La seconda è un perpetuarsi dello stesso successo; certo, aumentano le chiacchiere alla Dawson’s creek ma è ancora godibile e l’attaccamento ai personaggi aumenta, così come aumenta il numero di gay nella serie. Perchè nel frattempo il mondo ha apprezzato lo sdoganare il tema del coming out tra gli adolescenti e l’ha così apprezzato da volere di più, sempre di più; e gli è stato dato, la serie infatti diventa bandiera dei diritti dei gay, dando molto (molto!) spazio alle storie riguardanti l’accettazione del proprio orientamento sessuale. La terza stagione già barcolla, le idee diminuiscono così ricorrono all’ espediente del “what if” (puntate in cui si mostra “cosa sarebbe successo se”) e strutturano puntate intere sulle canzoni di un solo artista o spettacolo teatrale. La conclusione però è ancora coinvolgente, emoziona e con i lucciconi agli occhi salutiamo i protagonisti, ormai diplomati e al massimo delle loro aspettative sulla loro vita, lanciati nel mondo fuori dal glee club carichi degli insegnamenti ricevuti in quegli anni. È quindi un happy ending? Happy sì (più o meno, o non sarebbe un teen-drama) ma ending no, e da qui inizia il declino.

Mentre ci chiediamo tutti come faranno a mettere in scena una quarta stagione, se seguiranno i vecchi protagonisti oppure creeranno un nuovo glee club con nuovi personaggi ecco che lo vediamo e scopriamo che…hanno fatto entrambe le cose. Ed è un disastro. Il lancio di un kalasnicov su 900 tastiere avrebbe composto una sceneggiatura più coinvolgente: perdi il legame affettivo con i vecchi personaggi e dei nuovi non te ne frega niente. Guardi per attrito, perchè è ancora un appuntamento fisso ma non è più lo stesso e come nelle migliori relazioni ti poni dei dubbi “Sarò io che sono cresciuta?” “Forse dovremmo passare più tempo insieme per recuperare.” ma nulla sembra funzionare, qualcosa si è rotto, e nell’agosto di due anni fa c’è il colpo di grazia: muore Cory Monteith (alias Finn Hudson), lo storico protagonista. Muore come un qualunque eroinomane in un albergo sperduto tra Canada e USA. Allora guardi la quinta stagione, le puntate dedicate ai Beatles (orrore, orrore, orrore) e quella dedicata al suo personaggio e giù fiumi straripanti di lacrime. Dopodichè il nulla, lasci nell’oblio; come con gli ex, controlli ogni tanto su Internet come va la sua vita senza di te ma poi vedi l’annuncio di un’ultima, sesta,  grande stagione conclusiva. Allora pensi, ok vediamo come va, guarderò la prima puntata.

Eccoci quindi arrivati alla spiegazione del titolo: Glee fa schifo. Glee è partita come una grande innovazione nella categoria teen-drama, ci ha illuso, abbagliato e poi trascinato al suolo per metri finchè non abbiamo vomitato l’anima. Durante la S6E01, in effetti, l’ho quasi fatto. Ci mostrano una Rachel Berry reduce da un fallimento, ma a parte i vestiti e la frangetta del personaggio non è rimasto nulla, una bambolina senza espressioni a cui viene data più importanza del necessario, decide di prendere in mano il glee club, immagino perchè con la morte di Finn vogliono fare di lei il nuovo mentore/erede del nuovo gruppo di outsider canterini. Scopriamo che il matrimonio gay dell’anno è stato annullato e nell’assenza di inventiva, ormai palese, creano nuove coppie (gay) tanto improbabili che non vengono accoppiate neanche sui siti di fanfiction, si formano rivalità che non stanno nè in cielo nè in terra. Il programma è diventato l’ombra di se stesso, una macchietta auto-celebrativa e noiosa.

La delusione è tale che sono paralizzata davanti alla tv, mia madre mi chiede cosa abbiamo appena visto e io sinceramente non glielo so spiegare. L’adolescente che è in me protesta visibilmente e resta ancorata ai bei ricordi rimasti, mentre la me di ora decide di tagliare i ponti per sempre e spegne la tv, rassegnata. Un’ultima perla voglio lasciare al lettore, prima di concludere, e con questa frase riassumo più o meno lo spirito che fu di questa serie:

<<Lo sapevi che i delfini sono squali gay?>>.

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