Insieme per la Giornata Mondiale della Terra

Come nasce questa giornata

Il 28 gennaio del 1969 a seguito di uno scoppio sulla piattaforma petrolifera a sud della California, 10 km dalla costa di Santa Barbara, vennero sversati in mare tra gli 80.000 e i 100.000 barili (da 13.000 a 16.000 m3) di petrolio greggio, contaminando il canale e le spiagge della Contea di Santa Barbara nella California meridionale. L’impatto ambientale che seguì fu semplicemente disastroso. Tuttavia, la vicenda ebbe una considerevole risonanza mediatica, e tra lo scalpore della politica statunitense più sensibile al tema e un’opinione pubblica sempre più indignata cominciarono a coagularsi i primi germi di quello che sarebbe stato uno dei movimenti simbolo di questo secolo, ossia quello ambientale. Fu così che l’anno seguente, il 22 aprile del 1970, venti milioni di giovani americani inondarono le strade di tutto il paese per protestare contro il degrado e l’inquinamento, prodotto per antonomasia del processo di industrializzazione incontrollata, di un’economia capitalistica furente e insostenibile e di politiche economiche, industriali e sociali preoccupate solo di consegnare a qualunque costo segni “+” al paese, anche se questi significano più inquinamento, più impatto ambientale, più tumori, infine più morti.

Una battaglia per il futuro sul piano logico e morale

Quella ambientale è la battaglia dei giovani per eccellenza, perché sono gli unici a poter immaginare cucite sul proprio futuro, quindi sulla propria possibilità di sopravvivenza, le risposte a quella fatidica domanda: dove e come vivrò domani? D’altronde, tra i talenti dell’umanità non v’è stato mai quello della lungimiranza, e se pensiamo che quest’ultimo non ha mai rappresentato un dono siamo costretti a concludere che quello della recidiva è davvero un vizio. È passato mezzo secolo da quello storico evento, ma rappresentano cinquant’anni di menzogne, ipocrisie e politiche suicidiarie. Allora venti milioni di giovani hanno riempito le piazze americane; oggi la nostra associazione che ha l’onore di chiamarsi Venti sente di rispondere con forza a quella chiamata che attraversa gli anni e le generazioni sentendosi partecipe attivamente di quell’istanza. Non ci sarà possibile riempire le piazze fisiche, pertanto riempiamo l’unica consentitaci: quella virtuale.

Perché sia chiaro, alla base della questione ambientale c’è un’evidente questione logica e morale: se infatti non percepiamo la priorità logica di questa battaglia rispetto a tutte le altre, questa sofferenza odierna sarà stata inutile. Senza un pianeta in cui vivere non ci può essere lotta alcuna: per il progresso, per il benessere, per la parità dei diritti, per il lavoro, per la nostra realizzazione individuale. Ma c’è anche un’evidente questione morale: fintanto che non percepiremo una bottiglia di plastica in mare, tanto per fare un esempio, segno di inciviltà e motivo di riprovazione morale quanto un insulto ad un omosessuale o ad una donna, uno schiaffo ad un animale, un atto vandalico ad un commerciante, questa lotta avrà motivo di continuare e se possibile con ancora più forza.

L’EarthDay al tempo del Covid-19

Inoltre, l’EarthDay 2020 assume, al tempo ed a causa della pandemia da CoronaVirus, un’accezione totalmente inedita.

Le sirene che prima “disturbavano” la nostra quotidianità e che riuscivamo a silenziare senza troppa fatica, sono oggi esplose divenendo allarme persistente e (finalmente?) primario.

La Cina, luogo da cui ha avuto presumibilmente origine questo agente patogeno, ha chiuso i Wet Market in cui decine di migliaia di animali selvatici (venduti legalmente ed illegalmente) venivano macellati e venduti e che erano (sono?) autostrade a cinque corsie per la trasmissione di virus provenienti da animali che lì trovano le condizioni ideali per effettuare il tristemente noto “spillover” (salto da una specie ad un’altra).

La reazione del mondo a questa pandemia non si è, fortunatamente, fatta attendere:

Il Governo cinese ha, finalmente, dichiarato cani e gatti animali da affezione vietandone il consumo.

Dallo spazio si riesce a scorgere, dopo decenni, la Cina e tutti quei siti ad alta densità industriale (sparsi in tutto il globo) le cui emissioni nocive creavano una “barriera” sopra i loro cieli.
L’aria di tutto il mondo ha visto una riduzione delle emissioni inquinanti di quasi il 50% (dato in costante crescita).

Le acque di tutto il pianeta hanno ritrovato limpidezza e “pulizia” (ho trovato particolarmente significativo vedere le acque del Po limpidissime)

L’isolamento domiciliare ha permesso alla natura di riappropriarsi dei suoi spazi (lo squalo verdesca al porto di Vibo Valentia, la medusa ed i pesci nei canali della serenissima, i leoni marini in Sud Africa, le lepri a Milano e le volpi in Illinois, ecc. ecc.).

E’ evidente, dunque, come l’uomo abbia colpevolmente ignorato troppo a lungo ciò che la natura, a modo suo, ha tentato di dirci ed oggi ne stiamo pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e vivere sociale.

L’EarthDay, non può più essere considerato come una giornata di speranza e/o semplice sensibilizzazione al tema, oggi assume il significato di una terrificante lezione, impartita da madre natura, che l’uomo è chiamato finalmente ad imparare: rispettare l’ecosistema in cui vive.

Come riconsiderare il futuro

Quando questa emergenza cesserà e l’uomo ricomincerà a riprendersi gli spazi e la libertà che è stata per mesi limitata, dovrà ricordare questa lezione. Bisogna riconsiderare il futuro in una nuova ottica, non solo economica e sociale, ma soprattutto ambientale. Ciò che deve far riflettere e che è al centro del dibattito sull’inquinamento in questi ultimi giorni, è l’ipotesi di una correlazione positiva della diffusione del Covid -19 nelle città e nelle regioni con un particolato sottile superiore a 10. È un’ipotesi concreta, ma ancora tutta da verificare, che la diffusione di questa epidemia aumenti nelle grandi metropoli e nelle zone industrializzate dove il particolato sottile, presente nell’atmosfera a livelli elevati, potrebbe fungere da vettore e da maggiore impulso nel diffondersi della pandemia. È inoltre plausibile che soggetti esposti cronicamente ad inquinamento atmosferico siano più suscettibili all’aggressione di virus e specificamente di Covid–19, valutando che la velocità di contagio osservata in particolare in nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni ambientali.

Pertanto non si può più ignorare o rimandare il problema dell’inquinamento, per non rischiare di ritrovarsi nuovamente tra 10, 15, 20 anni nella medesima situazione, se non peggiore.

Non possiamo più rimandare questa evoluzione economico – sociale.

Il mondo è chiamato a ripensare totalmente il proprio concetto di economia non potendo più prescindere dal bilanciamento tra sostenibilità e profitti.

Oltre questo primo step, l’umanità ha, inoltre, il compito di superare quelle “tradizioni che, seppur radicate, creano danno all’ecosistema globale (la pesca degli squali al solo scopo di prendergli le pinne per poi rigettarli in mare agonizzanti a morire ne è fulgido esempio).

Non possiamo più fingere che ciò che accade nel Pacifico, non interessi la parte di mondo non bagnato da esso perché l’ecosistema è indiscutibilmente globale e come tale va “trattato” e “pensato”.

Dobbiamo rammentare che ogni paio di guanti di lattice utilizzati per una veloce commissione o lavoro che gettiamo nella pattumiera – o peggio sul ciglio della strada o del supermercato – impatta irreversibilmente sull’ambiente. Dobbiamo ricordarci sempre che siamo i protagonisti e svolgiamo il ruolo principale in questa storia.

La protezione dell’ambiente coincide con la tutela delle categorie più fragili

Oggi, 20 Aprile 2020, in questo tempo così fuori dal tempo, in cui tutto il mondo lotta contro la pandemia da Covid 19, la 50° giornata mondiale della Terra risulta un anniversario, mai come ora, importante, che ci ricorda da quanto tempo il tema della sostenibilità ambientale sia presente nel dibattito pubblico e, allo tempo, ci mostra quanto poco abbiamo fatto.

Se è vero, come ci dimostra la storia, che l’uomo ha compiuto i suoi più grandi passi nei momenti più bui, beh, questo è uno di quelli.

La protezione dell’ambiente è anche un elemento di tutela per le categorie più fragili, come le persone con disabilità, individui più vulnerabili di altri che più di tutte sono colpite da catastrofi naturali e squilibri ambientali.

In questi casi, infatti, l’ambiente esterno diventa ancor più ostile a chi non si muove liberamente, o magari lo fa con un ausilio, come una sedia a rotelle o un bastone. E in questi casi, le avverse condizioni climatiche sono una barriera in più che rendono ancor più difficile la vita di relazione di chi ha condizioni di difficoltà pregresse.

Dunque, da questa battaglia che interessa TUTTI noi ed alla quale TUTTI possiamo contribuire, dipende il futuro di questo pianeta e, come tale, la sopravvivenza di miliardi di esseri umani.

La questione, infine, infatti, si racchiude tutta qui: riuscirà l’uomo finalmente ad evolversi ed a vivere in armonia con il mondo che lo circonda?