Ghost Stories: Autopsia fantasma dei nuovi Coldplay

Di Maria Teresa Pedace

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Del nuovo, attesissimo lavoro dei Coldplay hanno già scritto praticamente tutti. Prima di gettarmi a capofitto nell’ascolto, ho compiuto un clamoroso passo falso: ho letto una mezza dozzina di recensioni. Il perché? Subodoravo già da qualche settimana uno sgradevole odore di flop, e temevo che tutto quel gossip intorno alla crisi personale di Chris Martin e al divorzio con la dolce Gwyneth creasse troppo fumo intorno all’arrosto. Ho letto, in quegli articoli, i soliti paroloni che i giornalisti di settore utilizzano: minimalismo, eleganza, impressionismo, tavolozze aliene di suoni. E poi la collaborazione con Avicii, il paragone con gli U2, la chiusura eccessivamente plateale… Tutte cose che lasciano un po’ perplessi e soprattutto tanto, tanto curiosi. Ma sapete cosa vi dico? Ghost Stories è un album da ascoltare. Da infilare nello stereo della vostra stanza o della vostra auto, nella vostra playlist preferita. È un disco da gustare. È un tramonto di fine Maggio su Marsiglia, con il sole che cola a picco davanti al porto e la sera che arriva e si mescola agli odori portati dal vento.  Ghost story è un piccolo scrigno che racchiude l’etereo, il bello, un sogno notturno, una perla rara. A due anni di distanza dal colorato –forse un po’ troppo – “Mylo Xyloto”, i Coldplay ritornano con un album sorprendente. Pop, senza dubbio. Profondamente intriso delle atmosfere che a sir Martin piacciono tanto, britannico fino al midollo, sui toni tenui del blu del cielo che canta nella traccia numero otto, “A sky full of stars”, per l’appunto. E soprattutto, si tratta di un album omogeneo, fin nei dettagli. La copertina, ad esempio, disegnata da Mila Fürstová’, vede due ali enormi, candide, stagliarsi contro un cielo blu che diventa tutt’uno con il mare. Ad aguzzare la vista, nelle ali si ritrovano volti, corpi, uno specchio, una finestra, un labirinto, una finestra aperta, il tutto omogeneamente composto a rievocare la atmosfere delle fiabe e le tracce dell’album, a stuzzicare la fantasia, a dare il via all’imperdibile produzione animata disponibile su iTunes per la regia di Alasdair + Jock, della Trunk Animation. Ghost stories è, in realtà, un viaggio che la copertina ci consente di immaginare a nostro piacimento. Ma che verrà guidato sapientemente, traccia dopo traccia, alla scoperta dei colori che teniamo nascosti e serbiamo per la notte, per i fantasmi, per l’inafferrabile.
Si parte con “Always in my head”, inafferrabile, con arrangiamenti ampi, con la piccola Apple Martin ai cori, definito da XL quasi abbozzato, ma per la sottoscritta un respiro profondo dopo l’apnea di un tuffo a notte fonda. Un intro che rimane sui polpastrelli come la seta, come un profumo buono che rievoca un corpo che dormiva accanto a noi fino a pochi minuti fa. Come un pensiero, che cammina nella nostra mente, invisibile eppure sempre presente.
Si prosegue con “Magic”, una raffinata ballata che ruota intorno ad un basso e a suoni elettronici che ricordano gli anni ’90 e Tracey Thorn.
“Ink” è stata già etichettata come l’unica canzone allegra dell’intero album, e a ben pensarci sin dalle prime note mi ha strappato un sorriso. Ma non sarà un po’ riduttiva, come definizione? Io dico di sì. Perché, sapete, quando Chris canta “All I know is that I love you so, so much that it hurts” non possiamo non pensare agli amori che fanno male eppure riempiono ogni nostra fessura, ai nostri fantasmi buoni insomma.
“True love” è una delicatissima preghiera, da gustare tenendo gli occhi chiusi e lasciando fluire ogni ricordo, ogni emozione. Fino a “Midnight”, all’interno della quale si avverte chiaramente la mano di Jon Hopkins. Le atmosfere sono quelle delle sperimentazioni cui ci hanno già abituati Justin Vernon, Sigur Ros, Burial, ma chi l’ha detto che anche i Coldplay non possano sfruttarle? Sperimentando e rievocando, così, una fiamma nella notte ad indicare la via.
“Another’s Arms” è il racconto puro, semplice, amaro, di una mancanza. Lasciamo il gossip ad altri, teniamo il mid-tempo e l’atmosfera struggente.
“Oceans” è un brano che reca l’etichetta “made in Coldplay” sin dalle prime note, che invita quasi a fermarsi sotto la pioggia, ad incontrarsi. Ancora una volta. Ché chiudere i conti con i fantasmi è possibile.
“A sky full of stars” sorprende. Le mani veloci di Avicii altro non fanno che accompagnare un brano che certamente infiammerà gli stadi, e farà venir voglia di lasciarsi andare e ballare sotto la luna piena.
“O” sembra pareggiare i conti con il brano precedente, regalandoci un pianoforte ed un’atmosfera malinconica che sfuma sull’ “ambient”.
“All your friends” mescola tutti gli aggettivi che possono essere attribuiti a questo album, in piena chiave Coldplay.
“Ghost story” è il penultimo brano dell’album, cresce pian piano e convince. È un fantasma che svanisce, è un sussurro che forse nessuno ascolterà.
“O-reprise” ci riconsegna alle atmosfere leggere come piume e ci accompagna verso la fine del viaggio.
Questo è un album che convince, non solo i suoi stessi autori e produttori, ma anche chi lo ascolta. Non c’è il pop a tutti i costi, non c’è la sperimentazione a tutti i costi, non c’è un’inversione di marcia e nemmeno un ripetersi del passato. Ghost stories ha ritornelli che funzionano, arie malinconiche e struggenti, colori nuovi che non dimenticano la tavolozza da cui provengono, ha potere rievocativo, carattere, mescola storia e sperimentazione al punto giusto, ha sofisticatezza e ricercatezza senza mai diventare pomposo. Cosa vogliamo di più?