Viaggio all’origine delle nostre paure e consigli utili per affrontarle della dottoressa Patrizia Vetere, Psicologa Psicoterapeuta
In un ormai tristemente consueto pomeriggio di quarantena, mentre facevo zapping tra un programma già visto e uno che non vedrei mai, mi sono imbattuta in un film del quale mi ero completamente dimenticata. Presa dall’euforia di aver ritrovato un cimelio cinematografico della mia preadolescenza, ho deciso che avrei dovuto rivederlo.
Man mano che il film andava avanti, sono stata folgorata da una rivelazione: mi sono accorta che si stavano palesando sullo schermo alcune delle mia paure più radicate e che avevano avuto origine proprio da scene come quelle che stavo osservando in quel momento. In un istante ho realizzato che quelle fobie che tanto hanno tormentato le notti e i giorni della me bambina erano nate proprio da pellicole come quella, di cui ho fatto largo uso durante l’infanzia.
Il film in questione si intitola “Sfera”, è del 1998 e vede come protagonisti Dustin Hoffman, Sharon Stone e Samuel L. Jackson; tutti e tre fanno parte di un team incaricato di prendere contatto con un’entità aliena nascosta su un’astronave, sepolta nell’oceano da più di 300 anni.
La prima delle mie fobie che mi salta agli occhi è la claustrofobia: gli attori sopracitati vengono mandati, insieme ad altri, in una base sottomarina.
Intorno a loro solo acqua, che si rivelerà presto fatale quando l’alieno di 300 anni comincerà a farli fuori uno ad uno. Nessuna possibilità di risalire in superficie a causa di una tempesta sottomarina e di meduse assassine; poche possibilità di sopravvivenza nella base causa incendi multipli, serpenti marini carnivori che si infiltrano da ogni dove e semplice furia omicida.
Un po’ di claustrofobia sarebbe venuta a chiunque, credo.
L’altra fobia che ritrovo è quella per gli specchi e le superfici riflettenti, tecnicamente definita eisoptrofobia. La forma di vita aliena del film, quella bloccata nell’astronave sott’acqua e in solitudine, ha la forma di una gigantesca sfera che, pensate, riflette tutto fuorché le persone che la osservano… già questo è abbastanza inquietante, no?
Nel mio caso non temo che la mia immagine non si rifletta, come accade ai protagonisti del film, ma che il riflesso mostri qualcosa che altrimenti non è visibile.
Del resto sono centinaia le storie in cui lo specchio o, più in generale, una superficie riflettente si scopre essere un confine tra mondi diversi, dal quale può sbucare qualcosa di terrificante.
Mentre facevo tutte queste considerazioni il film è terminato con una fuga rocambolesca dalla base sottomarina, un finale che non avrei mai ricordato e tante domande.
Ho deciso quindi di fare una bella chiacchierata con la dottoressa Patrizia Vetere, psicologa psicoterapeuta di grande esperienza, per fugare tutti i miei dubbi.
Che cos’è una fobia?
Una fobia è una paura intensa e duratura, non controllabile che viene riconosciuta dal soggetto come irragionevole e sproporzionata alla situazione, ma percepita come un pericolo reale.
Possiamo avere fobie specifiche molto comuni (tunnel, ascensori, ragni, uccelli, temporali, buio, iniezioni, sangue) e fobie meno comuni ed insolite (per suoni specifici, tonalità di colore, tipi di alimenti). Esistono poi le fobie generalizzate come per esempio la fobia sociale, che porta la persona a temere di trovarsi in relazione con gli altri.
Uno stimolo fobico può scatenare nell’individuo un attacco di panico, uno stato quindi di attivazione fisiologica molto intenso (tachicardia, sudorazione, difficoltà a respirare) che alimenta la paura. Si ha letteralmente “paura della paura” e ciò porta ad evitare l’esposizione alla situazione temuta.
Le fobie hanno una funzione nello sviluppo cognitivo dell’individuo? Se sì, quale?
Tutte le emozioni hanno una funzione importante per la sopravvivenza della specie. Nel caso specifico, la paura rappresenta la reazione appropriata di fronte ad una minaccia reale: permette una risposta psicofisiologica che può portare ad una reazione attiva di lotta/ fuga oppure ad una reazione di blocco/congelamento che paralizza l’individuo impedendone ogni reazione. Nello sviluppo cognitivo dei bambini, la paura permette la sopravvivenza a un organismo in via di maturazione, non in grado da solo di fuggire da una situazione pericolosa. Per esempio attraverso la cosiddetta “paura dell’estraneo” il bambino si aggrappa alla madre e utilizzando il “riferimento sociale” impara dalle espressioni del viso della madre se la situazione è sicura o minacciosa.
È possibile convivere con le proprie fobie?
Certamente è possibile, ma limitante perché la persona adotta strategie di evitamento dello stimolo fobico e a lungo andare questo può portare a chiusura ed isolamento, soprattutto se la fobia riguarda situazioni sociali.
Quale potrebbe essere una strategia di fronteggiamento efficace delle fobie?
Può essere di aiuto avere attenzione verso se stessi e utilizzare tecniche di rilassamento per alleviare i sintomi dell’ansia e dello stress molto comunemente correlati alla fobia.
Ad esempio ridurre gradualmente il consumo di caffeina, zucchero e, in generale, migliorare le abitudini alimentari, dormire a sufficienza, fare esercizio fisico. Riuscire a cogliere, interpretare e gestire le modifiche fisiologiche dell’organismo, aumentando così la consapevolezza corporea. Lo stato di rilassamento può essere raggiunto con l’aiuto di registrazioni di meditazione, tecniche di respirazione e yoga. Chiedere aiuto ad uno specialista per affrontare e superare una fobia permette la rielaborazione di tutte quelle esperienze angoscianti legate alla storia della persona e che possono essere causa della sintomatologia fobica.
Sigmund Freud diceva:“ogni fobia risale a un’angoscia infantile e ne è la continuazione”.
Io aggiungo che sta a noi far sì che quelle angosce infantili non ci seguano nella vita adulta.
Assistente sociale, sognatrice incallita, idealista per nascita ed irriverente per vocazione. Ama leggere, guardare le maratone di Mentana su la7, i telefilm, il cinema, le arance amare e la politica. Dai posteri verrà ricordata per l'autoironia e la propensione alle battute a doppio senso.