In foto: Mario Ruggieri, Stefania Sagliocco, Marialuisa Foglia, Mamadi Kourouma, Rosamaria Mennillo, Giulia Cerbo, Andrea Francesco Nacca, Rebecca Della Rosa, Stefania De Cristofano, Christian Mirto, Federico Compagnone

La macchina fotografica come arma contro la violenza

Intervista alla fotografa Emanuela Vallo

Emanuela Vallo è un’aspirante fotografa professionista classe 2000 di Piedimonte Matese, provincia di Caserta, che investe il suo tempo e la sua passione per affrontare tematiche attuali e dal forte valore sociale. Utilizzare la fotografia per lottare contro qualsivoglia forma di violenza, narrandola attraverso un semplice obiettivo fotografico che nasconde dietro un occhio sensibile: il suo. 

Dopo aver affrontato la delicata piaga del “Body Shaming” – a cui è stato dedicato un servizio sul programma “Agorà” di Rai 3 – ultimamente Emanuela è tornata a far parlare di sè a gran voce attraverso i suoi scatti per affrontare un nuovo rilevante progetto: la lotta alle discriminazioni.

La sua passione per la fotografia nasce a 8 anni, quando gli venne regalata una macchina fotografica di piccole dimensioni per uso personale. Man mano, il rapporto tra Emanuela e l’arte della fotografia muta, cresce, assumendo un valore più profondo. Al compimento dei suoi 12 anni, con il denaro che era stata in grado di mettere da parte, riuscì a comprare un tablet da 10 pollici con cui iniziò a sperimentare videomontaggi e dare un tocco più professionale ai suoi scatti. Nonostante l’inesperienza e la scarsa qualità, i suoi video iniziavano a regalare emozioni, ed Emanuela capì quanto fosse importante la fotografia all’interno della sua vita. La mania per gli scatti divenne sempre più forte; a 18 anni ricevette in regalo una reflex e da quel giorno ogni sua aspettativa e ambizione prese forma.

Emanuela, se potessi utilizzare tre aggettivi per spiegarci cosa rappresenta la fotografia per te, quali utilizzeresti?

Se dovessi utilizzare tre aggettivi, sicuramente la fotografia rappresenta per me armonia, creatività, realtà.

Ciò che fai a livello sociale è ammirevole. Cosa speri di diffondere con il tuo impegno e sostegno verso gli altri?

Con il mio impegno spero di abbattere il muro delle diversità, delle differenze. Far capire che tutto questo genera soltanto odio e incomprensione tra di noi. Desidero una società che sappia guardare oltre, senza pregiudizi.

Il bullismo è una brutta piaga con cui purtroppo conviviamo da tanti, troppi anni. Che consiglio o suggerimento ti senti di dare a chi ne è vittima?

Purtroppo credo che il bullismo sia un fenomeno che non cesserà mai di esistere del tutto, ma possiamo e dobbiamo combatterlo con ogni mezzo. Cercare di ridurre i danni con pazienza e coraggio, affrontandolo di petto, senza voltarci dall’altra parte. Bisogna soprattutto essere forti mentalmente e cercare di apparire più intelligenti agli occhi della persona che abbiamo di fronte. Bisogna parlarne il più possibile. Molte volte, questo fenomeno passa sottotraccia. Chiunque affronti un disagio simile non va mai lasciato da solo. Circondarsi di persone che ci vogliono bene e che ci stanno accanto credo sia la miglior medicina.

La tua sensibilità verso l’argomento mi spinge a pensare che anche tu, in passato, sia stata vittima di bullismo. E’ così? Se ti va e può essere da esempio, parlacene pure.

Sì, il mio attivismo di oggi nasce da esperienze passate, sicuramente meno gravi rispetto a quelle di altre persone, ma che mi hanno spinta a non restare ferma a guardare. Ho vissuto il bullismo in prima persona per lo più alle scuole medie, durante quella è una fase in cui sei molto vulnerabile e cominci a capire tante cose. Cercavo semplicemente di fare amicizia, parlare con persone nuove della mia classe; non conoscevo nessuno in quanto mi ero separata da tutti i miei precedenti compagni. Un gruppetto di ragazzi ha sempre preso in giro il mio abbigliamento, i miei denti, il mio fisico e persino le persone che frequentavo, soltanto perché non le ritenevano alla loro altezza a causa delle loro difficoltà di apprendimento. Spesso mi sono ritrovata la gomma nei capelli, quaderni strappati, disegni rovinati. Non riuscivo più a fare nessuna attività di gruppo per paura che mi continuassero a prendere in giro. Ad esempio, ci fu una  partita di pallavolo che la scuola organizzò contro un altro istituto e che perdemmo e loro la fecero pesare su di me, attribuendomi la sconfitta. Da queste esperienze, purtroppo, ne sono uscita debole. Fortunatamente c’era sempre qualcuno che comunque mi stava vicino; alcuni rispondevano alla provocazioni al posto mio, io non sapevo difendermi in nessun modo. Tutto ciò ha causato in me non solo insicurezze, ansie e attacchi di panico, ma anche la paura di familiarizzare con gli altri. 

Cosa puoi dirci del tuo nuovo progetto sulle discriminazioni di genere?

Al giorno d’oggi ci sono ancora troppe discriminazioni sul modo di essere di una persona, sulle sue tradizioni, il suo colore, la sua religione. Attraverso le immagini, ancora una volta, vogliamo cercare di esprimere quello che invece è l’uguaglianza. Una grande armonia nell’essere e il voler essere ciò che si è. La libertà di sentirsi ognuno uguale all’altro. Senza muri né distinzioni.

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?

I miei sogni nel cassetto sono tutti ancora da scrivere, ma al momento sono dove vorrei essere. Apprezzo già il fatto di essere arrivata fin qui. Tutto ciò che ho realizzato in così poco tempo è un qualcosa di molto grande per me. Ma spero un giorno di riuscire ad arrivare a pubblicare dei miei scatti su qualche rivista di moda. Al momento non desidererei nient’altro.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni