“Da grande voglio fare il posto fisso”: come sta cambiando (ed è già cambiato) il mondo dei concorsi pubblici

La Costituzione italiana all’articolo 97, quarto comma, stabilisce il principio per cui l’accesso “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni” deve avvenire “mediante concorso”. Da sempre, il tema dei concorsi pubblici è di grande interesse per una vastissima platea di giovani e non solo, impegnati in una molteplicità di procedure selettive, tanto che nel vocabolario italiano esiste persino il termine “concorsista” per indicare specificamente “chi partecipa assiduamente a concorsi pubblici”.   

Nel tempo, l’universo dei concorsi pubblici ha subito però una significativa evoluzione, per la concorrente pressione di molteplici fattori, in particolare la necessità di ridurre la spesa pubblica eliminando i costi superflui e la generalizzata tendenza del settore all’efficientamento e allo sveltimento, cui si è di recente aggiunto l’utilizzo più pervasivo della tecnologia.

Da ultimo, l’emergenza sanitaria da COVID-19 ha inciso in modo profondo anche sulla realtà dei concorsi pubblici, che sono stati strutturalmente snelliti e velocizzati per assecondare le complesse esigenze dell’amministrazione nella delicata e difficile cornice della pandemia. Norme straordinarie e regimi provvisori hanno tentato di razionalizzare il superfluo per garantire assunzioni immediate e nuove risorse umane al servizio della macchina pubblica.

A questa evoluzione si legano una molteplicità di questioni che sono oggi diventati di assoluta attualità.

Un primo dato strutturale di assoluto rilievo riguarda le posizioni oggetto dei nuovi concorsi. Si sono infatti moltiplicate anche a livello nazionale le procedure per posti a tempo determinato: ad esempio gli addetti all’ufficio del processo o “Coesione per il Sud”. I grandi numeri di queste nuove assunzioni espongono la Pubblica Amministrazione al rischio di una faglia attiva di precariato latente: si moltiplicano infatti i dipendenti non stabilmente inseriti nella macchina pubblica che non maturano alcuna prospettiva di lungo periodo. Tramonta quindi almeno in parte il sogno di voler fare “il posto fisso” come nella gag di un famoso film di successo.
Sotto altro profilo, si è trasformata più in generale proprio la struttura dei concorsi, con riguardo a modalità e peso delle singole prove. Nella configurazione “standard” pre-pandemia, il concorso si articolava nella maggior parte dei casi in una prova preselettiva a risposta multipla, indi prove scritta, eventuali prove pratiche, infine prove orali. La semplificazione profonda delle modalità concorsuali a seguito del Covid-19 ha comportato uno snellimento forzato delle sequenze procedimentali, che a volte sono state ridotte fino a concentrarsi su prove a risposta multipla e valutazione dei “titoli” curriculari. Si tratta di modifiche assolutamente rilevanti perché conformano la condotta strategica dei candidati.

In prima battuta, il rilievo maggiore dei titoli alimenta infatti il settore (e il mercato) dei master e corsi di specializzazione, nonché lo stesso interesse per i posti “a termine” nella P.A., produttivi di punteggio.
In secondo luogo, le prove a “quiz” hanno cambiato il modo di studiare e di prepararsi degli aspiranti. Nella predisposizione dei quesiti a risposta multipla, per evitare errori e incertezze, si prediligono molto spesso dati nozionistici, magari assurdamente ricercati, non esposti alla minima preoccupazione critica. In una “crocetta”, è più semplice chiedere il giorno la data e l’ora di un evento storico, che l’interpretazione ontologica di una tesi o di un pensiero. Sicché i candidati sono orientati a uno studio sempre più nozionistico e meticoloso, in cui non è però richiesta elaborazione critica e capacità di problem solving.
A questo si aggiunge che un sempre maggior numero di concorsi, prima distribuiti tra le singole amministrazioni per essere sartorialmente cuciti sulla realtà di destinazione, sono stati oggi accentrati, ricorrendo alla logica dei “profili comuni”. Sono nati così i “concorsoni”, gestiti in modo centralizzato da strutture apposite, per migliaia di posti: il candidato partecipa, sottoposto a una verifica di conoscenze generali, salvo poi essere “spedito” in base alla posizione in graduatoria presso amministrazioni potenzialmente diversissime. È proprio in questa cornice che si inserisce l’ulteriore questione dei vincitori “rinunciatari”, che pur avendo superato il complesso travaglio concorsuale decidono di non accettare il posto spesso per non sportarsi lontano o per coltivare altre prospettive.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni