Certezza fa rima con sicurezza come passione fa rima con precarietà?

Nell’ultimo ventennio il tema della vocazione professionale ha assunto  valenza di non poco conto. Rispetto ad un passato contrassegnato da un audace benessere economico, i dati che emergono sia dalle indagini di ordine sociologico che dagli studi di ricerca afferenti alla psicologia del lavoro testimoniano, contrariamente alle aspettative, una ricerca di senso nelle scelte delle attività lavorative che si intendono intraprendere.
Le nuove categorie legali propendono infatti a veicolare le proprie attenzioni in opportunità ed esperienze di crescita più vicine a proprie attitudini ed interessi. Si registra un’attenzione nella ricerca dell’impiego e del lavoro che trova traccia in contesti lavorativi idonei a garantire condizioni di vita qualitativamente soddisfacenti, capaci di favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita sociale.

Si assiste ad uno switch valoriale: al bisogno consolidato e più tradizionale di autodeterminazione personale si associa l’esigenza di soddisfare bisogni di carattere ludico-sociale (come viaggi, tempo libero, sport ecc.) e relazionale (famiglia, amici, amore ecc.) coinvolgendo finanche ambienti di lavoro chiamati a riformulare il proprio mindset aziendale attraverso la promozione di condizioni funzionali allo sviluppo di un ambiente lavorativo salubre.
Prende lentamente corpo un’etica della sostenibilità che interessa la tramutazione di un impianto sociale che possa oltremodo restituire le condizioni di un trattamento economico adeguato alle prestazioni adempiute. È il cosiddetto “Work life balance”, il cui obiettivo è la ricerca e il raggiungimento di un “benessere collettivo” traducibile nel miglioramento della qualità di vita proprio di tutti.

Complice anche l’esperienza pandemica, secondo uno studio effettuato dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo (ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore), Millennials e GenZ validerebbero le scelte intraprese in una logica del “qui ed ora”, tesa a scongiurare le promesse di un avvenire che appare poco garante e fruttuoso. I risultati emergenti dal Rapporto Giovani 2022 mostrano, dall’indagine che ha visto protagonisti settemila persone di età comprensiva dai 18 ai 34 anni, una volontà di ripartenza che trova vigore da ciò che si vuole a discapito di quanto la realtà tenda invece ad offrire. Affiora nelle classi emergenti, quindi, un senso di appartenenza vivo, attivo e partecipato al cambiamento che risulta tuttavia soffocato da realtà politiche infelici, manchevoli di una logica educata al modello di una razionalità discorsiva tanto agognata quanto mai concretata.

Assistiamo alla ri-emersione di un bisogno di sicurezza prima sopito e ravvivato in concomitanza al morire del ciclo virtuoso di un’economia fiorente volta a formulare nuovi presupposti di crescita e sviluppo. Studi di matrice sociologica testimoniano, infatti, come la crisi occupazionale prima e l’aumento della precarietà poi, abbiano prodotto, in risposta all’emersione di tale bisogno, un atteggiamento traducibile nella prolungata permanenza nei circuiti del sistema formativo. L’investimento nelle abilità e competenze avrebbe favorito la creazione di figure professionali innovative volte sempre più a soddisfare esigenze di libertà ed autonomia personale mai garantite prima d’ora (Ronald F. Inglehart). L’affermazione di un “umanesimo digitale”, ha oltremodo finito per riformulare i connotati linguistici di un dia-logos che da concettuale e prevalentemente logico è divenuto simbolico paventando così un paradigma di civiltà tendente a sviluppare, prevalentemente nella sfera del sociale, un approccio emotivo tradotto nei risvolti del sentire.

Ma la realizzazione di una passione è giustificata prevalentemente dal merito o da cause accidentali per lo più fortuite?
Secondo il filosofo statunitense Michael Sandel, il divario tra vincitori e vinti troverebbe spiegazione nelle crescenti diseguaglianze in termini di reddito e ricchezza. Chi vince dimentica la fortuna che gli ha permesso di raggiungere determinati obiettivi; questo spiegherebbe come talune aspirazioni vengano disattese dall’urgenza di sopperire a bisogni materiali cogenti propri del vivere. La componente fortuna è oltremodo il mezzo attraverso il quale talento e passione trovano occasione di sviluppo. Non necessariamente le due risultano essere antitetiche. 

L’uomo contemporaneo trova forse piena realizzazione nella misura dei valori che incarna nel vivere in coerenza a quanto proferisce oltre che nelle virtù, come ad esempio il coraggio e l’onestà, che sente più congeniali alla sua persona. Il successo, nell’accezione ampiamente accolta, risulta esserne conseguenza.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni