Carnevale: dal Mamuthones sardo all’abbruzzese Frappiglia, ogni regione ha la sua maschera

Carnevale è la festa dei colori e dell’allegria, un giorno in cui adulti e bambini grazie al potere di una maschera diventano supereroi, principi delle fiabe, animali della foresta e dame dell’800 ma soprattutto Carnevale è un giorno di festa che tiene vive le tradizioni di tutte le regioni d’Italia, senza esclusione alcuna.

Le maschere più note sono sicuramente quelle di Pulcinella e di Arlecchino i due combina guai per eccellenza, uno con un vestito tutto bianco e con la maschera nera incarna a pieno lo stile filosofico tutto partenopeo del “campare alla giornata” e l’altro col suo vestito sgargiante e coloratissimo sprizza vivacità e agilità, infedele al suo padrone e goloso come un vero Veneto. Ma in realtà sono moltissime le maschere di carnevale che non tutti conoscono e ogni regione ha la sua che racchiude le caratteristiche del territorio, del cibo e della propria cultura, scopriamone alcune.

In Liguria è tipica la maschera del Capitan Spaventa, un condottiero con una divisa gialla e rossa fiammante, un cappello col pennacchio e una spada ancora lucida nel suo fodero, il suo aspetto richiama quello dei soldati di ventura e in quanto tale risulta essere un personaggio colto, un viaggiatore, un uomo che non si limita alla superficie e ama viaggiare anche con la fantasia, così tanto da non riuscire più a distinguere il sogno dalla realtà. Un personaggio ben lontano da Frappiglia, che ha casa in Abbruzzo. La sua maschera nera che copre metà viso lascia scoperta una macchia rossa sulla guancia e un vestito bianco e rosso, due colori molto importanti che raccontano la sua inimitabile avventura. Frappiglia nasce come contadino molto povero che ha come unico desiderio quello di trovare qualcosa da mettere atto i denti, un girono sul suo cammino incontra il diavolo in persona che gli promette un piatto di pasta in cambio della sua anima e gli concede prima di morire un ultimo desiderio, Frappiglia è povero ma molto furbo e chiede come ultimo desiderio di riottenere la sua vita. Ecco come un povero contadino delle campagne abbruzzesi è riuscito ad ingannare la morte, e lo dimostra il bianco del suo vestito che rappresenta il paradiso e la macchia rossa indelebile che ha sulla guancia a lasciar traccia del suo passaggio nell’Inferno.

A rappresentare la Calabria c’è Giangurgolo, un signorotto barocco, nobile e presuntuoso, molto chiacchierone e bugiardo di natura, così tanto da prendere in giro se stesso, la sua maschera ha un naso molto importante che non gli da un bell’aspetto ma la sua vanagloria lo porta a credere che sia un uomo molto corteggiato, un adulatore nato. Spostandoci poco più in là, in Sardegna, troviamo i Mamuthones che coprono l’intero viso con maschere nere come la pece e lucide che hanno caratteri antropomorfi molto marcati, questi personaggi indossano pesanti pellicce di pelo di animale e hanno un’origine misteriosa, non si sa bene cosa vogliano rappresentare, probabilmente richiamano i primi uomini che hanno abitato la terra, ancora selvatici e animaleschi, una maschera a tratti inquietante e imprevedibile.

Dalla Sicilia arriva Peppe Nappa, un servo infedele e infingardo, pigro e inconcludente, insomma un buono a nulla come ci suggerisce il suo cognome che significa “toppa dei pantaloni”, un personaggio che abbandona la sua svogliatezza solo davanti al cibo, un po’ come fa Balanzone, l’avvocato emiliano, panciuto e buongustaio anche lui, amante dei piaceri e goffamente colto. Un chiacchierone che ama essere ascoltato sfoggiando termini aulici usati in modo inappropriato e storpiato, un cialtrone che non arriva a risolvere nessuna causa ma un ottimo compagno di bevute e mangiate.

Altro personaggio peculiare e unico è il Rumit che trova la sua origine in Basilicata e la sua maschera è un vestito ricoperto di edera e foglie. Il nome deriva probabilmente dalla parola eremita e il suo costume rappresenta la natura che passa silenziosa per le strade del paese nel giorno di Carnevale in segno di buon auspicio, una maschera che racconta bene la potenza della natura a ricordarci che noi in fondo siamo solo degli ospiti.

Tra tutte queste maschere maschili una è quella femminile di spicco: la nota Colombina. Una servetta veneta, scaltra e avvenente che non rinuncia alla sua libertà, innamorata di Arlecchino e impicciona come poche, ambiziosa e testarda nell’ottenere quello che vuole.

Ogni regione ha la sua maschera, attraente, selvaggia, enigmatica o bonaria che racchiude storia e tradizioni. a Carnevale chiunque può diventare qualcun altro o qualcos’altro, senza essere giudicato e senza risultare fuori luogo, un giorno in cui tutti possono sentirsi liberi di indossare una maschera o magari di toglierla, chissà…

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni