Alle porte di COP28, tra ambiente e geopolitica

Il mese di novembre porta un fitto calendario di incontri internazionali, tra i quali un attesissimo evento che si terrà a Dubai. Infatti, dal 30 novembre al 12 dicembre la metropoli del Golfo Persico ospiterà la COP28, Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite.

I negoziati sul clima iniziarono nel 1992 a Rio de Janeiro con il Summit sulla Terra, dove per la prima volta i delegati di 172 Paesi governi si incontrarono per trovare una linea comune su come affrontare i cambiamenti climatici già presenti allora.

Dal 1995 in poi questi incontri hanno assunto cadenza annuale prendendo il nome di COP, acronimo di Conferenza della Parti, che è formata l’insieme delle Nazioni che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, trattato ambientale internazionale Il trattato punta alla riduzione delle emissioni dei gas serra, ritenuti responsabili del riscaldamento globale.

Per convenzione la Presidenza dei lavori si alterna di anno in anno tra un Paese industrializzato ed uno emergente, e la prima Conferenza Cop (la COP1) si riunì a Berlino nel giugno 1995 e fu presieduta dall’allora giovane e semi-sconosciuta Ministro dell’ambiente Angela Merkel.

Da allora tra le COP che si sono susseguite, alcune sono particolarmente degne di nota essendo poi divenute un riferimento non solo normativo ma ambientale tout court: nel 1997 la COP3 ospitata dal Giappone passò alla storia per l’adozione del Protocollo di Kyoto, il primo trattato internazionale dove i Paesi industrializzati formalizzarono l’impegno nelle ridurre le emissioni di gas serra. Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, con 191 Stati aderenti rappresenta il primo vero punto di partenza nella lotta ai cambiamenti climatici.

Nel 2015, la COP21, tenutasi a Parigi, è divenuta pietra miliare perché è dove si arrivò cosiddetto Accordo di Parigi, dove la comunità internazionale si impegnò a contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, facendo tutto il possibile per tentare di non superare gli 1,5 gradi.

L’accordo entrerà in vigore quando almeno 55 paesi lo avranno ratificato e sarà assicurata una copertura delle emissioni globali pari almeno il 55% (quota corrispondente ai principali emettitori, ovvero Cina, USA, Unione Europea, Giappone, Brasile e India).

Nell’edizione 2023 della Conferenza, ospitata nella penisola araba, sarà il Sultano Ahmed Al Jaber a presiedere i lavori. Voce autorevole degli Emirati essendo Ministro dell’Industria, inviato speciale per il clima della sua Nazione, e Amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Abu Dhabi National Oil Corporation. La scelta della sua nomina da parte del Segretariato generale dell’ONU, comunicata il 13 gennaio 2023, ha generato perplessità in molti ambienti del mondo politico e della società civile, ritendendo la scelta di un esponente della lobby dei combustibili fossili non perfettamente in linea con la causa ambientale. Dal punto di vista delle critiche, il Sultano Al Jaber non è solo: l’edizione 2022 della COP27 tenutasi in Egitto (Sharm El Sheikh) portò con sé diverse critiche sulla scelta di un Paese che è stato accusato più volte di violazioni dei diritti umani da più esponenti della comunità internazionale.

I temi che sono rimasti aperti dopo COP27 che dovranno essere ripresi sono molti, ma due sono degni di nota. Il primo è il patto anti-deforestazione, proposto da Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo (dove è ospitato il 54 per cento delle foreste del pianeta) che necessita ancora di un piano di implementazione; il secondo è il meccanismo di loss and damage, che farebbe in modo che i Paesi ricchi risarciscano quelli più poveri per le perdite e i danni che hanno subìto e continueranno a subire in relazione ai cambiamenti climatici.

Rispetto a COP27, tra le dune ed i grattacieli degli Emirati c’è l’impressione che le discussioni potrebbero essere esacerbate non solo da conflitti ideologici, ma anche dalla situazione geopolitica drammaticamente evolutasi nelle ultime settimane con lo scoppio del conflitto Israelo-Palestinese. In questo contesto, gli Emirati avranno un doppio ruolo: quello di superpartes con la Presidenza della Conferenza e quello di una voce preminente delle Nazioni del mondo arabo, una prova di maturità che sarebbe da esempio ai leader di tutto il mondo.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni