Il 15 agosto 2021 i talebani irrompono a Kabul dinanzi agli occhi sconcertati di milioni di civili afghani e di occidentali che osservano increduli dalle televisioni delle loro case.
Gli “studenti del Corano” con i loro kalashnikov hanno seminato il panico in un territorio, quello dell’Afghanistan, da decenni terra di innumerevoli conflitti.
Il vento afghano che a Kabul fa volare gli aquiloni, ha fatto decollare nel giro di poche settimane, aerei militari per evacuare personale diplomatico, cittadini stranieri e migliaia di civili, cercando di portarli in salvo nelle terre d’Occidente.
Immagini strazianti si sono susseguite nei giorni di agosto: persone aggrappate ad aeromobili affollati, stracolmi di bambini, donne, uomini; fila interminabili di macchine dirette verso l’aeroporto di Kabul; il filo spinato a separare la gente che aveva il diritto di partire, di lasciare il paese, e chi invece doveva ancora attendere il suo turno.
La povertà e la fame hanno sostituito la speranza ed il “colore” degli ultimi anni, da quando nel 2001 l’Afghanistan aveva visto la fine del governo talebano.
Il fondamentalismo irrompe, la legge coranica applicata seguendo l’interpretazione più estremista possibile è ormai diventata legge dello Stato, e allora una domanda sorge spontanea: cosa ne sarà degli oppositori, di coloro che non riconoscono questo potere e non lo condividono, e soprattutto cosa ne sarà delle donne?
E’ su questa problematica, che non può essere taciuta, che noi occidentali nei lunghi anni di permanenza nel territorio afghano, potevamo lavorare maggiormente. Aprire un dialogo con i talebani ed il riconoscimento agli stessi di una legittimazione internazionale, doveva essere assoggettato alla garanzia del rispetto dei diritti umani.
L’Afghanistan, come ogni paese, non è un territorio autosufficiente e necessita per tale ragione dei rapporti con i paesi esteri. Quindi, sulla scorta di questo assunto, mi chiedo se non si poteva fare di meglio nella ricerca di un dialogo (che è cosa diversa da un negoziato) con le fazioni più moderate dei talebani.
Alla luce di queste premesse, credo che adesso sia necessario porre in moto tutti gli strumenti e tutti i mezzi per fare fronte alla crisi umanitaria in corso nel paese e dare una luce di speranza agli ultimi, a capo dei quali ci sono le donne. Donne coraggiose che nonostante la paura scendono in piazza a manifestare, donne che hanno subito violenze, torture, donne che sono state cresciute con la cultura del fondamentalismo religioso e che sono abituate al silenzio, e accanto ad esse donne che invece hanno conosciuto la libertà e adesso la rivogliono indietro.
Gli omosessuali che si nascondono perché non c’è posto per le loro relazioni, le bambine di appena tredici anni che non possono accedere alla scuola perché sono già considerate donne pronte al matrimonio.
Il panorama che si apre al nostro sguardo è triste e colmo di dubbi e paure per il futuro. Lo sforzo richiesto ai paesi europei e non solo, per ricercare delle soluzioni, è enorme e difficile.
Il monito che deve fare da guida ai nostri politici, a chi governa il mondo, è il rispetto dell’umanità e dei diritti, perché non esistono esseri umani di serie B.
La speranza è l’ultima a morire, e spero che tutti gli afghani che stanno soffrendo oggi, possano tornare domani ad ascoltare il suono del vento del loro Paese… e vedere volare sulle immense distese di Kabul centinaia di aquiloni.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni