Accetto i termini e le condizioni. Sì, ma quali?

Acquisti online e clausola “non rimborsabile”

Quante volte prima di procedere ad un pagamento online abbiamo dovuto “spuntare” la casella con scritto “accetto i termini e le condizioni”? Bene. In quel momento abbiamo concluso un contratto. 
Nel Codice Civile il contratto è definito come l’accordo di due o più parti per costituire, regolare, o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale
Tra gli elementi che devono necessariamente sussistere affinché un contratto possa dirsi concluso vi è, quindi, l’accordo, cioè l’unione delle volontà di entrambi i soggetti ad impegnarsi a fare o dare quanto pattuito nel contratto. 
Esistono diverse modalità di raggiungimento dell’accordo ma, nell’immaginario collettivo, tutte hanno in comune un presupposto: la negoziazione (del prezzo, della quantità/qualità della merce, del tempo e delle modalità del pagamento ecc). 

Quando spuntiamo la casella su internet, invece, non negoziamo; ci limitiamo ad accettare, molto spesso al buio, quello che l’altra parte ha predisposto unilateralmente. Possiamo scegliere solo se aderire al programma contrattuale già predisposto o chiudere quella pagina internet e non proseguire al pagamento. Non è un caso che, nel lessico giuridico, si parli di “contratti per adesione”. 
Solitamente i contratti per adesione sono utilizzati nei rapporti tra professionista e consumatore e le condizioni generali del contratto sono predisposte unilateralmente dal professionista, che rappresenta la parte economicamente più forte. La regola generale, in questi casi, è che le condizioni predisposte da una delle parti (di norma, abbiamo detto, il professionista) sono valide ed efficaci se l’altra parte (il consumatore), al momento della sottoscrizione del contratto, le conosceva o avrebbe potuto conoscerle con l’ordinaria diligenza. Questo vuol dire che il contratto è valido in tutte le sue parti anche se noi non abbiamo letto le condizioni che abbiamo accettato, perché, usando l’ordinaria diligenza (cioè essendo un po’ più responsabili e, magari, cliccando il link di riferimento delle condizioni contrattuali) avremmo potuto certamente conoscerle e decidere con maggiore consapevolezza se accettarle o meno. 

La regola ha una ragione molto semplice: il professionista (o l’imprenditore o, in generale, qualunque contraente) fa affidamento sul fatto che il contratto sia concluso così come è stato predisposto e accettato e, organizzatosi per eseguire il programma contrattuale, non può correre il rischio di sentirsi dire che il contratto non è valido perché l’altra parte “non aveva letto”. Per fare un esempio pratico, il libraio a cui io ordino un libro online sostiene dei costi per incartarlo e organizzarne la spedizione, magari non lo vende a qualcun altro perché lo ha già venduto a me, e non è pensabile che io decida di non voler più il libro perché “non avevo capito i termini che ho accettato”. Se fosse così facile venir meno ai vincoli contrattuali, nessuno si fiderebbe più degli impegni assunti da qualcun altro, gli scambi economici subirebbero un arresto e, con un regresso all’infinito, verrebbe meno lo stesso concetto aristotelico di uomo quale animale sociale. Ma sto divagando.

A questa regola generale fanno eccezione alcune clausole contrattuali, chiamate clausole vessatorie. Le clausole vessatorie sono particolari previsioni contrattuali che vanno ad esclusivo vantaggio della parte che le ha predisposte e a discapito dell’altra. Sono vessatorie, ad esempio, le clausole che escludono il risarcimento del danno causato al consumatore da un’attività o un’omissione del professionista o quelle che prevedono la possibilità di recesso dal contratto solo per il professionista. Per esse vale una regola diversa: sono valide solo se approvate specificamente per iscritto. Si tutela, in questo caso, il consumatore, la parte debole del contratto e, per questo, la legge richiede una prova più forte della sua consapevolezza di accettare quella condizione per lui pregiudizievole. In mancanza di questa specifica approvazione, il contratto è valido ma la clausola vessatoria si considera inesistente. 
E quindi, cosa succede se, tra quelle che accettiamo ignari nei contratti online, c’è una clausola vessatoria? Quando, dal divano di casa nostra, compriamo musica, film, scarpe e pacchetti viaggi, il procedimento con cui compiliamo i campi elettronici con i nostri dati e alla fine clicchiamo il pulsante dell’accettazione dei termini, è da considerare una specifica approvazione scritta? Questo click è sufficiente per considerare valida la clausola svantaggiosa? 
La Cassazione ha detto di no. 
Il procedimento è sicuramente valido per considerare raggiunto l’accordo e, quindi, concluso il contratto, ma non può dirsi che l’attenzione del consumatore sia stata adeguatamente sollecitata e che la sua sottoscrizione sia stata in modo consapevole rivolta specificamente proprio al contenuto a lui sfavorevole. 
Secondo la Cassazione, occorre che vi sia almeno un prospetto sintetico di queste clausole, con una sommaria indicazione del contenuto. Per intenderci, occorre almeno quel breve elenco che alcuni siti fanno -anche per le clausole non vessatorie- e che abbelliscono anche con dei disegni carini. 

Proprio in ambito alberghiero, recentemente, è stato affermato che sono vessatorie le clausole che prevedono il pagamento di una penale in caso di disdetta del soggiorno ed anche quelle che indicano come “non rimborsabile” il pagamento fatto ad un’offerta alberghiera trovata online. In quanto vessatorie, per essere valide devono essere oggetto di specifica approvazione e cioè almeno indicate sommariamente in calce alla pagina internet.

I principali siti web di viaggi utilizzano la giusta modalità ma non è raro imbattersi in offerte che non specificano nulla a riguardo. Cosa fare, quindi, se:

  • acquistiamo online un soggiorno alberghiero,
  • non possiamo più partire,
  • chiediamo il rimborso e l’albergatore sostiene che la tariffa pagata non sia rimborsabile ma la clausola “non rimborsabile” non era segnalata adeguatamente nei modi visti sopra?

Possiamo fare causa all’albergatore e, presumibilmente, il giudice lo condannerà al rimborso del prezzo e al pagamento delle spese processuali che abbiamo sostenuto per ottenere il rimborso attraverso una pronuncia giudiziale. 
In ogni caso, e prima ancora di ciò, è bene star sempre attenti a cosa accettiamo, per evitare di vincolarci a fare cose che non pensiamo o a rinunciare a diritti che ci appartengono. 

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Classe ‘93. Laureata in Giurisprudenza con la passione per il principio di uguaglianza. Simpatica, creativa, alla mano, decisamente disordinata. Ultima ricerca su google: si può essere dipendenti dalla maionese?