All’indomani del 71° festival della musica Italiana, Sanremo mi ha lasciato momenti di riflessione e di emozione.
L’artista che più mi ha colpito è Achille Lauro.
Mi ha lasciato stupita e commossa il suo nuovo singolo che ha portato sul palco dell’Ariston: “solo noi”. E’ un brano che raccorda l’anima dell’artista a quella di chi lo ascolta. E’ scritto dall’umanità per l’umanità, è una carezza in mezzo ad un mondo malato, che chiede aiuto. Un’umanità disperata che in fondo è accomunata da un unico sentimento: la speranza. E’ la speranza che muove il filo di peccatori e peccatrici che chiedono di essere accettati così come sono:
Poche parole, semplici, ripetute più volte, ritornano nella canzone e ribadiscono lo stesso concetto. La libertà di essere, la libertà nonostante i difetti e gli errori, la solitudine di essere liberi. A volte essere sè stessi comporta il non sentirsi accettati, sentirsi diversi, giudicati, emarginati. Achille Lauro invece ci insegna a guardare oltre i limiti della società, le costruzioni del perbenismo e delle apparenze. I suoi trucchi, i suoi costumi, teatrali e scenografici, ci inducono a mettere da parte le nostre regole di giudizio e ad immergerci nella musica senza dare peso all’immagine, ma anzi, ricercando un significato dietro di essa.
Il mondo è una comunione di opposti, di ‘buoni e cattivi’, di ‘ricchi e poveri’, di ‘ignoranti ed istruiti’, eppure se ci guardiamo bene intorno, ci accorgiamo di quanto non siamo uguali. Forse “senza autorità”, o forse “senza dignità”, o forse “senza eredità”, ma comunque tutti con lo steso bisogno di essere salvati.
E chi può salvarci, se non l’uno con l’altro?
“Salvami te, salvami te, salvami te”.
E allora grazie Achille per il tuo lavoro, grazie per avere spiegato alla mia generazione quanto la musica può fare e quanto è importante ricercare ed essere sè stessi, sempre.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni