Una conquista storica delle donne per le donne
Il 30 dicembre 2020 l’Argentina ha ottenuto una conquista di civiltà: l’aborto è divenuto legale.
Una vera e propria svolta per il paese sudamericano, che porta con sé le urla e i pianti di gioia delle centinaia di donne e di uomini scesi in piazza a festeggiare questa vittoria.
Una vittoria cercata più volte, quasi raggiunta nel 2018, e poi svanita con l’opposizione del Senato.
Questa volta, invece, il Senato ha approvato il disegno di legge con 38 voti favorevoli, 29 contrari ed uno astenuto.
Il presidente argentino, Alberto Fernandez, aveva sollecitato il Parlamento sul tema, ritenendo la legalizzazione dell’aborto una questione di salute pubblica: oggi non può che essere orgoglioso del risultato raggiunto.
La legge approvata legalizza l’interruzione volontaria di gravidanza fino alla quattordicesima settimana di gestazione e riconosce alla donna un tempo di dieci giorni intercorrente tra il consenso espresso e l’intervento chirurgico, un tempo necessario per evitare qualsivoglia tipo di pressione psicologica che spinga la donna ad un ripensamento.
In Italia le nostre donne hanno vinto questa battaglia nel 1978, mentre dopo più di 40 anni ancora ci sono paesi in cui l’aborto è avvertito come un tabù. Nell’America Latina, salvo le poche eccezioni come Città del Messico oppure Cuba, gli Stati che non riconoscono questo diritto sono ancora tanti, troppi. La Chiesa cattolica, sostenendo la criminosità di un atto quale l’aborto, mantiene un’influenza pesante sulle questioni politiche e sul riconoscimento di diritti afferenti la sfera sessuale. Oggi, però, con l’avvento di Papa Francesco e delle sue idee progressiste alla guida della Chiesa, i paesi in cui il cattolicesimo è vissuto anche come uno stile di vita possono fare un passo avanti verso la laicizzazione dei diritti.
I diritti sono e devono rimanere avulsi da ogni tipo di influenza religiosa, a meno che questa non si leghi profondamente ad un’ideale di uguaglianza e di pari opportunità.
Il diritto di ogni donna ad essere libera di scegliere se essere madre o meno è la base per creare una società in cui l’amore è vissuto con coscienza e libertà, non con doverosità e sentimento di privazione. I figli che nascono e vivono una vita difficile non sono soltanto coloro che vengono al mondo in condizioni disagiate ma anche e forse ancora di più coloro che sono il frutto di una scelta obbligata, di una scelta imposta.
Oggi in Argentina si può mettere la parola fine alle migliaia di donne che per fuggire a una gravidanza non desiderata hanno dovuto ricorrere ad un aborto clandestino, a operazioni effettuate da cliniche private in condizioni igieniche degradanti che hanno peggiorato la salute psico-fisica della donna. Si può mettere fine al timore di incorrere in una pena detentiva di 15 anni per aver praticato l’aborto clandestino o per il sospetto di averlo fatto, e si può scrivere la parola inizio ad un aborto libero, gratuito e legale.
“Abortolegal” è l’hashtag che ha invaso i social in questi ultimi mesi di discussione sul progetto di legge presentato il 18 novembre dal governo dell’attuale presidente e a guidare questa lunga lotta sono comparse le immagini di donne in verde. Questo colore è comparso sui volti, sugli indumenti ma soprattutto sui fazzoletti sventolati durante le marce nelle piazze.
Il “pañuelo verde” è infatti stato scelto come oggetto che richiama la lotta delle madri e nonne di Plaza de Mayo, le donne che ogni anno scendono in piazza indossando un fazzoletto bianco annodato in testa come simbolo che richiama alla memoria i loro figli sequestrati e scomparsi durante la dittatura militare di Videla.
Ed ecco come le storie di generazioni di donne si intrecciano, si intersecano nel formare un percorso lungo e incrinato: un cammino di dolore, di lacrime di disperazione per una giustizia assente, per un mondo cieco e sordo davanti ai loro bisogni. Le madri e le donne di Plaza de Mayo urlano o presenziano silenziosamente nelle piazze per rivendicare il ritrovamento e la restituzione dei loro figli, le donne di oggi, madri, figlie, nonne, zie, chiedono invece a grande voce di essere libere di scegliere. La libertà di scelta, la libertà di sapere la verità, la libertà di essere: la libertà che ritorna sempre all’interno di questo cammino dietro la veste di un altro colore. Il ricordo delle donne, di quelle private dei loro diritti, di quelle donne che in silenzio conducevano una vita fatta solo di doveri, è stata alla base delle parole della senatrice argentina Silvia Sapag che dopo ore di battito, ha segnato il punto di svolta con queste parole :” “Quando siamo nate non potevamo votare, non ereditavamo, non potevamo studiare all’università. Quando io sono nata le donne non erano nulla. Provo una grande emozione per la lotta che stanno portando avanti tutte quelle donne che sono là fuori”. “È per tutte loro”, ha concluso Sapag, “che questo disegno diventa legge”.
All’indomani di un nuovo anno, mi chiedo: cosa ne è del Brasile? Cosa ne è del Salvador? Cosa ne è del Panama?
Auguro a tutte le donne dell’America Latina e a quelle di tutto il mondo, di conquistare questo altro pezzo di libertà, e credo che ogni donna, in ogni zona in cui si trova, più fortunata o meno che sia, possa contribuire, nel proprio piccolo, a dare voce a coloro che non ne hanno.
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