Sabato 1 agosto l’UCI darà, ufficialmente, il via alla stagione ciclistica 2020 con il recupero della “Strade Bianche”, inizialmente prevista per il 7 marzo. Per la prima volta nella storia, quest’anno, il Giro d’Italia prenderà il via nel mese di ottobre, precisamente il 3 e si concluderà il 25. Analogamente, il Tour de France partirà il 29 agosto, per arrivare a Parigi il 20 settembre. La Vuelta di Spagna inizierà, invece, il 20 ottobre e si concluderà l’8 novembre. Avremo quindi una leggera sovrapposizione tra la corsa italiana e quella spagnola.
Per gli appassionati di questo sport è a dir poco strano un mese di luglio senza “Grande Boucle”. Per molti sportivi italiani, in verità, la passione per il ciclismo è legata in maniera indissolubile alla data del 27 luglio. In questo giorno nel 2014 Vincenzo Nibali trionfava sugli Champs Elysses, diventando l’ottavo italiano di sempre a vincere il Tour, ed il sesto ciclista della storia ad aver vinto almeno una volta un’edizione di tutti e tre i Grandi Giri. Quella del 2014 fu una Grand Boucle interamente dominata dal ciclista siciliano che indossò la maglia gialla già nella seconda tappa da York a Sheffield del 6 luglio e, fatta eccezione per una piccola parentesi giornaliera in cui cedette il simbolo del primato a Tony Gallopin nella giornata del 13 luglio, mantenne fino alla fine tale simbolo del primato. Incredibile furono le dimostrazioni di forza date dallo scalatore italiano, che vinse ben 4 volte, nelle frazioni di montagna. In particolar modo nella diciottesima tappa con partenza da Pau ed arrivo sull’Hautacam, Nibali si impose rifilando un margine di ben un minuto e dieci secondi al secondo classificato, il francese Pinot che poi concluderà il Tour in terza posizione. A Parigi il vantaggio accumulato in classifica generale sul secondo, il francese Peraud fu pari addirittura a sette minuti e trentasette secondi.
Ancora più entusiasmante è il ricordo del 27 luglio 1998. In questa occasione, quella che potremmo definire la totalità dei tifosi italiani, e degli appassionati a livello mondiale, scattò letteralmente in piedi per l’impresa compiuta da Marco Pantani. Quell’edizione del Tour lo vedeva, addirittura sfavorito, perché disegnato con una conformazione morfologica maggiormente adatta alle caratteristiche di un passista-scalatore, forte a cronometro come il tedesco Jan Ullrich, che a quelle di uno scalatore puro, come il Pirata. In quell’edizione erano previste 3 frazioni contro il tempo, di cui una di 52 chilometri nella penultima giornata, che poteva essere decisiva per la classifica finale. Pantani riuscì a ribaltare qualsiasi pronostico accrescendo il mito della sua figura che ancora vive in noi. Il Pirata, fresco vincitore del Giro d’Italia, inizialmente, non avrebbe dovuto correre la Grand Boucle del 1998. La morte di Luciano Pezzi, storico manager della Mercatone Uno, lo portò a partecipare per onorare una promessa fatta all’amico. Il Pirata, però, più volte ribadì di vivere quell’edizione alla giornata. Lo spettacolo regalato durante il Giro d’Italia, lo inseriva, comunque, tra i corridori più attesi. La corsa si mette subito male per il nostro ciclista. Dopo una settimana e la seconda cronometro, Pantani è solo 43° in classifica generale a ben cinque minuti dal tedesco. Dal 21 luglio però la strada iniziava a salire ed il Pirata vedeva avvicinarsi il terreno a lui più congeniale. Così già in quel giorno iniziò ad attaccare e guadagnò 20 secondi sul tedesco. Il giorno successivo, vinse a Plateau de Beille e recuperò due minuti ad Ullrich. La sera del 26 luglio prima del tappone da Grenoble a Le Deux Alpes, Pantani disse ai compagni di squadra “Speriamo che domani faccia caldo”, temperatura da lui preferita, poiché nelle difficoltà si esaltava. Il giorno dopo, freddo e pioggia si abbatterono sulla corsa, ma non sul Pirata che sul Galibier, a 50 km dall’arrivo, spiccò il volo. Il tedesco non riuscì a resistergli ma c’era un eternità da recuperare in classifica generale e tanti chilometri, ancora, da percorrere. Pantani in cima al Galibier fece registrare già 3 minuti di vantaggio. Al culmine della salita indossò la mantellina, si involò in picchiata per poi inerpicarsi nuovamente verso il traguardo di Les Deux Alpes, rifilando ben 8 minuti e 43 secondi al diretto avversario. Naturalmente indossò la maglia gialla. Adriano De Zan in telecronaca diretta commentò: “Quando scatta questo ragazzo non ce n’è per nessuno”.
Il 27 luglio Pantani aveva ribaltato il destino ed i pronostici del Tour de France 1998. L’ultima cronometro non riuscì ad incidere sulla classifica generale. A distanza di 33 anni dall’impresa di Felice Gimondi, nuovamente, un italiano vinceva il Tour de France.
Marco Pantani, probabilmente, il corridore più amato da tutti gli sportivi italiani, aveva in sé un senso di umanità, mista a grandezza, di potenza ed umiltà, che lo portavano a compiere imprese spettacolari ed impossibili per molti, come la vittoria a Les Deux Alpes, per citarne solo una, senza mai uscire fuori dalle righe ed autocelebrarsi.
Pantani fu il compagno di tante nostre giornate, delle quali riusciva anche a scandire il tempo. Chi seguiva il ciclismo sapeva che intorno alle cinque meno un quarto, termine della giornata lavorativa di molti, il Pirata scattava e riusciva a far sognare, in sella alla sua bicicletta, intere generazioni di tifosi. Questo campione, ammirato per troppo poco tempo, ha lasciato nel mondo del ciclismo italiano, che senza di lui non è stato più lo stesso, un senso di vuoto e di incompiuto. Non sapremo quante imprese avrebbe potuto realizzare, quante corse avrebbe potuto vincere e quante emozioni avrebbe potuto regalarci ancora il nostro campione, senza le vicende poco chiare di Madonna di Campiglio del 1999.
In tutti gli appassionati restano ancora rabbia e di tristezza, perché, probabilmente, nonostante le diverse indagini mai terminate, non sapremo mai se qualcuno decise di far crollare il mito di Pantani per un mero giro di soldi e di scommesse. Sicuramente, gli amanti del ciclismo il 27 luglio ricorderanno, per sempre, un Pirata che scatta in sella alla sua bici sui duri tornanti del Galibier.