Se durante l’estate, in vista del rientro a casa, vuoi affittare la tua casa su Airbnb, questa breve guida fa per te!
Come ben noto, Airbnb è un portale attraverso il quale è possibile affittare la propria casa o stanza per brevi periodi, in modo semplice e veloce.
La problematica che in questa sede ci accingiamo a trattare è quella delle tasse.
Se voglio affittare la mia casa per un breve periodo su Airbnb, che tasse devo pagare?
In primo luogo, è opportuno evidenziare che stiamo parlando delle c.d. locazioni brevi, definite dalla legge come “i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione di servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa” (Art. 4, D.L. n. 50/2017).
Tali tipologie di contratti possono essere stipulate attraverso dei portali telematici che mettono in contatto chi cerca casa per brevi periodi ed il proprietario della stessa.
La norma sopra citata prevede che i portali telematici che operano da intermediari devono applicare una ritenuta del 21% sul canone previsto.
Questo comporta che il 21% del prezzo totale verrà trattenuto da Airbnb che, a sua volta, avrà tre obblighi ben precisi: pagare questo importo allo Stato, comunicare i dati della locazione breve all’Agenzia delle Entrate e rilasciare al proprietario la certificazione unica.
La certificazione unica è un documento rilasciato dai sostituiti d’imposta, ossia da quei soggetti che si interpongono tra lo Stato ed il contribuente, come Airbnb. Per legge i sostituti d’imposta sono obbligati a trattenere una parte del prezzo finale e versarlo allo Stato.
Tutti gli importi ricevuti dal proprietario e quelli trattenuti dal sostituto d’imposta devono essere indicati nella certificazione unica. I dati della certificazione unica dovranno, a loro volta, essere riportati nella dichiarazione dei redditi da parte del proprietario dell’immobile, il quale non dovrà pagare nient’altro.
Il vantaggio della c.d. tassa Airbnb è quello di non dover applicare nessun’altra tassa, come ad esempio le addizionali, l’imposta di registro e di bollo, al di fuori di quella trattenuta dal portale.
Il grosso del lavoro, insomma, viene svolto tutto da Airbnb…o almeno dovrebbe.
Il colosso del settore immobiliare, infatti, si è opposto sin da subito all’adempimento di tali obblighi fiscali, ritenendo che la norma in questione sarebbe lesiva dei suoi interessi ed avrebbe un impatto dannoso della concorrenza. Allo stato attuale, quindi, Airbnb non sta adempiendo ai propri obblighi, in attesa di una decisione dirimente da parte della Corte dell’Unione Europea che possa porre fine a tale disputa.
Questa presa di posizione da parte di Airbnb ha delle conseguenze dannose per i proprietari che si rivolgono al portale, i quali dovranno comunque versare le relative imposte allo Stato, decidendo se applicarle in misura sempre pari al 21% del prezzo totale di affitto oppure se applicare la tassazione ordinaria inserendo i canoni di locazione nella dichiarazione dei redditi.
Se da un lato si può comprendere la preoccupazione di Airbnb per i propri guadagni, dall’altro è opportuno rilevare che l’obiettivo di questa tassa introdotta solo nel 2017 era quello di evitare un’evasione sempre più diffusa attuata tramite queste tipologie di contratti brevi. Lo sviluppo sempre maggiore di portali come Airbnb ha, infatti, provocato conseguenze notevoli prima di tutto nel mercato immobiliare, riducendo l’offerta di locazioni “a lungo termine” e, in secondo luogo, permettendo ai proprietari di incassare il canone previsto per le locazioni a breve termine senza nulla versare allo Stato.
In attesa della decisione dell’Unione Europea, la situazione attuale è più complicata, ma si auspica in una risoluzione nel più breve tempo possibile.
Se non fosse chiaro, il diritto non è una scienza esatta ed i problemi sono sempre dietro l’angolo!