oltre-ogni-ragionevole-dubbio

“Oltre ogni ragionevole dubbio”: tra diritto e romanzo

Quando appena diciottenne mi sono affacciata al mondo del diritto, mio padre, avvocato penalista da oltre trent’anni, mi ha insegnato un principio fondamentale: l’importanza della verità processuale.

Quando dopo anni di studio mi sono ritrovata tra le mani in libreria “Oltre ogni ragionevole dubbio” di Francesco Caringella, non ho potuto non leggerlo tutto d’un fiato per due ragioni. In primo luogo, memore del totale trasporto che ho provato nel leggere il thriller “Non sono un assassino” dello stesso autore, non ho potuto non buttarmi a capofitto in queste pagine. In secondo luogo, nel titolo stesso “Oltre ogni ragionevole dubbio” ho rivisto l’insegnamento di mio padre.
E posso dire di non essermi sbagliata.

In una Bari afosa, città natale di Francesco Caringella che riesce a coglierne ogni sfumatura, la Corte d’Assise si ritrova a dover decidere il caso dell’omicidio di un imprenditore, tale Michele De Benedictis. Gli indagati principali sono la moglie Antonella ed il suo amante Giulio. A dirigere l’intreccio romanzesco, oltre che l’intera vicenda processuale, vi è una donna: Virginia Della Valle, presidente della Corte d’Assise. 
La lettura è scandita dal tempo mancante alla decisione finale, una spada di Damocle sulla Corte chiamata a prendere una posizione netta sulla di Antonella e Giulio: colpevoli o non colpevoli.
La Corte d’Assise chiamata a decidere è composta da otto giurati di differente estrazione culturale e sociale che rappresenta uno spaccato della società moderna. Se da un lato troviamo una poco più che trentenne biologa marina abituata a pesare ogni parola, dall’altro lato troviamo un artigiano quarantacinquenne appassionato di quelle vicende criminali a cui nessuno ha mai saputo dare una risposta. Ed ancora la rigidità di un ingegnere viene mitigata dalla pacatezza e pazienza di una vedova devota, nonché giudice mancato. Tutte personalità contrastanti, costrette a condividere lo stesso tavolo di giudizio ed a confrontarsi per giungere ad una decisione che sia oltre ogni ragionevole dubbio.

Come sottofondo di questo lento ed incessante confronto che avviene tra i giurati, costretti a rimanere chiusi ed isolati dal resto della città, vi sono altri personaggi le cui vite si intersecano con il processo condotto da Virginia.
Gli imputati Antonella e Giulio che aspettano di conoscere il loro verdetto, già considerati colpevoli dall’opinione pubblica che riconosce nell’omicidio il cliché classico dei due amanti che, per poter vivere liberamente la loro passione, sono costretti a sbarazzarsi definitivamente del marito di lei.  Antonella, in particolare, con un passato difficile alle spalle che viene gradatamente svelato, permettendo al lettore di provare a comprendere o meglio a non condannare le sue scelte di vita. Tutti questi personaggi si ritrovano coinvolti in primo piano in una vicenda processuale che apparentemente sembra non avere una logica spiegazione.
E se da un lato Virginia, i giurati e gli imputati è palese che si ritrovino coinvolti personalmente nella vicenda, Ferdinando Coppolecchia, soprannominato “il re della giustizia spazzatura”, sembra apparentemente rappresentare il punto di vista esterno di chi non deve decidere e non deve attendere la decisione. Apparentemente perché anche lui si ritroverà coinvolto in prima persona nella trama del crimine, dando libero sfogo ai suoi pensieri più profondi.
Da questo intreccio nasce un thriller avvincente che lascia il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina ad interrogarsi oltre che sulla colpevolezza degli imputati, anche sulle vite dei singoli personaggi.
Più che di un thriller, si tratta di un viaggio introspettivo nella figura di Virginia, personaggio centrale di questa storia, un magistrato, ma ancor prima una donna che ha dedicato tutto alla legge.
Il diritto così caro a Caringella, gli eventi portanti della trama e le riflessioni che si annidano nella parte più nascosta di ogni mente umana si intrecciano tra loro e confluiscono nelle parole, nei comportamenti e nei pensieri di Virginia.
In poche pagine si passa, senza alcuna forzatura letteraria, da pillole di diritto penale ai rimpianti e, soprattutto, ai rimproveri di una donna che si trova a dover mettere in discussione le sue scelte non solo lavorative, ma soprattutto di vita. I tormenti di Virginia trovano la loro dimora in una sentenza sbagliata del passato che non riesce a soprassedere.

I suoi tormenti sono i nostri, sono gli stessi tormenti che attanagliano ogni mente umana quando è libera di scavare a fondo nei ricordi e negli errori. Caringella ci mostra un’altra componente del diritto, il lato umano, una donna che non riesce a perdonarsi gli errori passati e che prova a guardare alla verità processuale, scevra da ogni condizionamento esterno e soprattutto interiore per giungere ad una decisione che vada oltre ogni ragionevole dubbio.
Il principio della decisione presa oltre ogni ragionevole dubbio rappresenta un limite a qualsiasi condizionamento esterno, ma soprattutto a qualsiasi apprezzamento discrezionale al quale un magistrato, per la sua natura umana, è soggetto. Tutto ciò che prescinde dalla verità che emerge dagli atti processuali, non è altro che pregiudizio.
Caringella riassume tutto ciò in pochissime righe che non possono che rimanere impresse a chi legge: “Il dubbio che impedisce la condanna è solo quello che incrina in modo significativo l’idea della responsabilità. […] Se si parte con la verità in tasca, il giudizio diventa pregiudizio. Invece, il dubbio è la libertà, stato d’animo, la bussola che ci guiderà al verdetto. Perché se il dubbio è il presupposto di ogni processo, ogni processo è lo scioglimento di un dubbio”. 
Caringella, dall’alto della sua esperienza prima di uomo e poi di uomo di diritto, ci impartisce una lezione fondamentale in un periodo storico in cui ci sentiamo giudici sempre degli altri e mai di noi stessi. Ci insegna che il diritto è applicato dagli uomini e che, di conseguenza, la giustizia umana è imperfetta. Ci insegna che decidere per gli altri non è mai così semplice come sembra. Al contrario, decidere senza lasciarsi influenzare dall’esterno, sradicando dalla nostra mente qualsiasi pregiudizio, facendo in modo che la verità processuale emerga in tutta la sua essenza dai fatti e dagli atti di causa, è più difficile di quel che può sembrare. Soprattutto se a giudicare quale possa essere la decisione più giusta siamo noi, seduti sulle nostre comode poltrone, con un telecomando in mano che ascoltiamo le notizie che trasmettono in televisione, senza leggere, studiare, capire ed immergerci nella rete di fatti, dichiarazioni, testimonianze, intercettazioni che caratterizzano un processo.
Caringella mette a nudo una figura di questi tempi troppo spesso contestata, la figura del magistrato, cercando di mostrare agli occhi del lettore due facce della stessa medaglia, l’uomo e la legge, con l’intento più profondo, magari, di ridare lustro e prestigio a questa figura a lui tanto cara.