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15 novembre 1971, quando l’uomo costruì il futuro

L’umanità che cerca di uscire dalla pandemia ha dovuto fare i conti, anche, con esperienze del tutto nuove che, probabilmente, torneranno utili in un futuro prossimo. Lo spirito di adattamento atavico dell’uomo lo ha portato ad abituarsi allo smartworking, alla DaD ed alla possibilità di comunicazione solo a distanza, in maniera quasi inaspettata. Avere il mondo a portata di mano con un semplice click su un dispositivo mobile, computer, tablet o cellulare che sia, è stato il motore della resistenza al virus.

L‘utilizzo delle apparecchiature elettroniche, in realtà, aveva assunto un’importanza fondamentale nelle nostre vite già prima dell’avvento della pandemia, che ha solo acuito la necessità del loro possesso. Le consuetudini quotidiane legate alla tecnologia  affondano le loro radici in un passato non tanto remoto. 50 anni fa, infatti, il 15 novembre 1971, la Intel, allora start-up, statunitense, lanciò sul mercato il primo microprocessore della storia, con il nome di “Intel 4004”. L’idea di realizzare questo prodotto rivoluzionario nacque già due anni prima in seno all’azienda giapponese Busicom che intravide nella Intel gli sviluppatori ideali. Il padre del microchip può essere considerato a tutti gli effetti il fisico, nonché nei fatti inventore e imprenditore italiano Federico Faggin. Egli, coadiuvato dagli ingegneri Ted Hoff e Masatoshi Shima, credette nella grandezza di questo progetto, consistente, in sostanza, nella riduzione in un processore di un’intera CPU, inizialmente composta da 7 chip.

Prima dell’invenzione di Faggin, un processore poteva ricoprire la superficie di un’intera stanza. La CPU è l’unità centrale di elaborazione di un qualsiasi calcolatore. La CPU può essere considerata il cervello degli strumenti sui quali viene impiantata, perché non esiste apparecchio  informatico che non sia dotato di tale componente. Il buon esito di questo progetto dipese molto dalle tecnologie applicate da Faggin, in primis la “random logic design in silicon gate” che permise anche di rivedere l’architettura di un microprocessore, utilizzando la progettazione casuale.

Quando venne commercializzato l’Intel 4004 lo slogan utilizzato fu “una nuova era per i dispositivi elettronici integrati”. Neanche dieci anni prima, negli anni ’60, un simile progresso nel campo dell’informatica e della tecnologia non era lontanamente ipotizzabile. L’uomo piuttosto che adattarsi al futuro aveva compiuto un passo in avanti, era riuscito a progettarlo e a costruirlo. Dal 15 novembre del 1971, l’evoluzione connessa a questi dispositivi è stata costante.

Ancora oggi, si tenta di costruire circuiti sempre più veloci e potenti, con l’implementazione di tecnologie sempre nuove e diverse in base alle funzioni che devono svolgere. I campi di applicazione di un microprocessore sono svariati: si passa dalle manovre compiute dall’utilizzo degli elettrodomestici, alla possibilità di utilizzare in maniera sempre più veloce computer, tablet e smartphone, fino ai sensori delle automobili. Tuttavia, il mercato dei microprocessori, nel corso degli ultimi mesi ha subito un rallentamento, data l’impossibilità di approvvigionamento degli stessi da parte di molte case utilizzatrici, anche in considerazione del fatto che circa il 75% di questa componentistica è prodotta a Taiwan. Quindi si tratta di prodotti fondamentali per la nostra vita, progettati da un fisico italiano, commercializzati, per la prima volta, da un’azienda statunitense e prodotti nell’Estremo Oriente, quanto più di globalizzante possibile. Del resto sarebbe difficile ipotizzare il contrario, considerando la portata della rivoluzione iniziata 50 anni fa.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni