Dipinto che ho visto in una delle rarissime esposizioni d'arte a Monrovia. Rappresenta lo sviluppo in Liberia;

20enni (italiani) nel mondo – Vivere a Monrovia (Liberia)

Nuovo capitolo della rubrica che racconta i ventenni nel mondo. Questa volta si tinge di Africa, con tutte le sue sfumature, e si veste da racconto, con un tocco particolare e coinvolgente.
A parlare è Marco, venticinquenne di Polignano a Mare che ha sempre viaggiato verso mete esotiche e, per certi aspetti, anche poco usuali. Oggi si trova a Monrovia, in Liberia, e in queste righe ci ha raccontato com’è vivere in un paese martoriato dalla guerra civile e dalle epidemie.


“Dovrebbero dare una laurea honoris causa in geografia a mia madre. Sarebbe in grado di dirvi senza difficoltà dove si trovano città come Monrovia, Chipata e Lilongwe. Vi indicherebbe sul mappamondo dove sono Bangkok, Jakarta e Seoul (Europa e Nord America sono troppo facili, li saltiamo).
Non sarebbe male se le dessero anche una specializzazione in malattie tropicali: tifo, dengue e malaria nel Sud-Est Asiatico, oncocercosi e colera in Africa equatoriale ed Ebola in Africa Occidentale. Ogni mia partenza è stata puntualmente anticipata da una approfondita ricerca da parte di mia madre sulla situazione socio-politica, sanitaria e climatica del posto… Che stress!

La parola Liberia su Google dà tendenzialmente due risultati: guerra civile ed Ebola. Non so cosa abbia fatto di male questo Paese per meritarsi 14 anni di Guerra civile (dal 1989 al 2003) e un’epidemia di Ebola (tra il 2014 e il 2015), sta di fatto che le condizioni in cui riversa sono disastrose. La Liberia ricopre la posizione numero 175 su 187 nel ranking dell’indice di sviluppo umano dell’ONU. Per dare un’idea, Paesi come Afghanistan e Sudan hanno un piazzamento migliore.

Murales che spiega i sintomi dell'Ebola. Le città della Liberia ne sono tappezzate
Murales che spiega i sintomi dell’Ebola. Le città della Liberia ne sono tappezzate

Nel settembre 2015 mi sono trasferito a Monrovia, capitale della Liberia. Lavoro presso Mercy Corps, una Organizzazione non governativa con sede negli Stati Uniti. Il progetto a cui lavoro si chiama Ebola Community Action Platform (ECAP) e il suo scopo è quello di rendere la Liberia responsiva in caso di epidemie (Ebola per l’appunto). La mia permanenza è sostanzialmente segnata dall’andamento del programma: se va a buon fine, il programma e il mio contratto sono estesi, in caso contrario riprenderò a inviare CV su Linkedin.

Dipinto che ho visto in una delle rarissime esposizioni d'arte a Monrovia. Rappresenta lo sviluppo in Liberia;
Dipinto che ho visto in una delle rarissime esposizioni d’arte a Monrovia. Rappresenta lo sviluppo in Liberia

Decidere di partire per la Liberia è stato facile; volevo tornare in Africa dopo il mio stage in Zambia e lavorare per una non-profit. A questo punto diventa irrilevante se lavori in Sud Africa o in Sud-Sudan, no?! Dopo I tre round di colloqui, ricevo l’offerta e ho 7 giorni per partire. Scelgo il vaccino da fare (non ho tempo di farli tutti!), partenza da Bari, scali a Roma e Casablanca, arrivo a Monrovia. All’aeroporto mi attende un autista con un distinto logo Mercy Corps sul cappello, il quale mi chiede “Are you, true?!”. La Liberia ha come lingua ufficiale l’inglese ma la lingua diffusamente parlata è l’inglese liberiano: le parole sono troncate, le consonanti rafforzate e la grammatica semplificata. Credo che tra 4 o 5 mesi riuscirò a parlarlo fluentemente.

E’ la prima volta che vivo in un Paese dove i caschi blu dell’ONU sono la polizia nazionale e dove c’è il rischio reale di un’epidemia.

E’ anche la prima volta che pago 10 dollari per una scatola di cereali! Monrovia è incredibilmente costosa se si vuole avere uno standard di vita occidentale. Elettricità 24 su 24 e internet sono lussi che si pagano profumatamente. Gli affitti sono almeno il doppio del costo di Milano e qualsiasi cibo importato (praticamente qualsiasi cosa che non sia frutta) ha un prezzo che ci si aspetterebbe in Svezia, non in Liberia!

Monrovia è una città da scoprire. Se un turista si fermasse per un solo giorno la definirebbe probabilmente l’inferno in terra: traffico strangolante dalle 6 del mattino alle 10 di sera, inquinamento, spiagge piene di liquami (Google “West Point”), buio pesto di notte. Tuttavia, sono sufficienti pochi giorni per scoprire che la comunità di expats costituisce una buona percentuale della popolazione di Monrovia; che puoi trovare ristoranti indiani, giapponesi, thai e libanesi, e che a pochi chilometri dalla capitale ci sono spiagge da cartolina. Monrovia sicuramente non offre l’intrattenimento di una città convenzionale secondo gli standard Occidentali. La città offre un modo nuovo di interpretare la vita stessa: musica per strada, mercati arrangiati e uno stile di vita estremamente lento.

Tuttavia, la miseria ti circonda e ti abbraccia: bambini che mangiano rifiuti, persone con deformazioni fisiche inimmaginabili, prostituzione nelle sue peggiori forme. L’altra desolante realtà è che la guerra civile ha ancora profonde ripercussioni sulla popolazione locale. I ventenni liberiani hanno le cicatrici della guerra e diverse ONG hanno ancora programmi per il recupero psicologico post-guerra.

Spiaggia a Monrovia con baracche sulla sinistra
Spiaggia a Monrovia con baracche sulla sinistra
Ebola treatment unit dove i pazienti affetti da Ebola sono trattati
Ebola treatment unit dove sono trattati i pazienti affetti da Ebola

Non è mai facile spiegare il motivo per cui abbia lasciato la mia famiglia e l’Europa per lavorare in Liberia. Penso che viaggiare sia il modo migliore di capire e imparare a capire se stessi. Ci confrontiamo continuamente con persone e pensieri diversi e affrontiamo le situazioni così come si presentano, senza filtri. Capiamo i nostri limiti, limiamo i nostri difetti ed esaltiamo i nostri pregi. In parole povere, impariamo a non avere una visione banale delle cose e delle persone.”


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