Oggi si celebra la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne istituita dalle Nazioni Unite, che invita i Governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a mettere in campo attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica. In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici; gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.
Questi dati non fanno altro che confermare quello che ormai sappiamo da tempo e, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione, non riusciamo a invertire la tendenza in modo significativo. Sappiamo che nel 2020, anno dello scoppio della pandemia, le mura domestiche sono diventate spesso una prigione, con una impossibilità, nei mesi del lockdown, di accedere ai centri antiviolenza e agli altri servizi di supporto, che invece sono stati presi d’assalto dalle donne appena ve ne stata la possibilità.
Le donne, quindi, continuano a essere oggetto di discriminazioni, abusi e violenze e, secondo gli ultimi dati, una donna viene uccisa ogni 2 giorni.
Ormai sembriamo quasi assuefatti a questo bollettino quotidiano che riempie telegiornali, radio e ogni mezzo d’informazione, ma purtroppo non riesce a cambiare le coscienze.
Tante sono però le persone che si impegnano, ogni giorno, accanto alle donne per cambiare le cose: innanzitutto i centri antiviolenza, che le supportano in tutte le fasi, dalla denuncia alla costruzione di una nuova vita, attraverso l’accoglienza in case rifugio ed altre strutture protette. Tali strutture vanno potenziate con finanziamenti adeguati e personale altamente qualificato, che possa lavorare con continuità e sicurezza sapendo di aver dalla sua parte le istituzioni. Non bisogna poi dimenticare la necessità di rendere sempre più accessibili e fruibili questi luoghi alle donne con disabilità che, come ci ricorda la Convenzione ONU all’articolo 6, sono vittime di discriminazioni multiple in quanto donne e in quanto persone con disabilità. Su questo fronte c’è ancora tanto da fare, a partire dalla mancanza di dati specifici su questo tema e dalla mancanza di politiche dedicate proprio alla violenza sulle donne con disabilità, argomentato sul quale il comitato ONU ha richiamato l’Italia nel 2013.
Senza trascurare l’elemento della difficoltà nelle essere credute da parte di queste donne, questo ci pone davanti ad un problema di formazione dei professionisti e delle professioniste della giustizia che devono essere pronte ad accogliere e dialogare nel modo corretto con una donna che ha subito violenza, qualunque sia la sua condizione; questo è l’unico modo per far emergere tutto quel sommerso di violenze e soprusi che avvengono nelle strutture segreganti dove purtroppo non poche donne con disabilità ancora vivono.
Importante è poi il lavoro dei centri per gli uomini maltrattanti che, pian piano, si stanno diffondendo nel nostro Paese: questi indicano un cambio di prospettiva importante, che ci fa capire come il problema della violenza non riguardi solo le donne che la violenza la subiscono, ma riguarda anche gli uomini che ne sono gli artefici. Questi centri lavorano sulla personalità e psiche di questi uomini e vanno alla ricerca delle cause profonde che li portano a gesti intollerabili, lavorando per distruggere quei meccanismi perversi che portano dalla frustrazione, alla rabbia incontrollata e poi alla violenza.
Per risolvere un problema complesso come questo, infatti, bisogna agire su più fronti e a più livelli, innanzitutto quello culturale, un contesto cioè che vede la donna costretta ancora a recitare ruoli prestabiliti, che non le permettono di esprimersi pienamente, nella vita lavorativa e sociale. Le giuste aspirazioni delle donne e la loro voglia di autodeterminarsi si scontrano con un mondo maschile che non è pronto a perdere il suo primato sul mondo, costruito sulle basi del patriarcato e del maschilismo, basi che hanno forgiato tutto l’occidente.
I processi culturali e sociali, come la storia ci insegna, sono i più lunghi e difficili da cambiare, ma noi dobbiamo riuscire ad accelerare questo processo con un’azione combinata tra istituzioni e società, che devono marciare insieme verso lo stesso obiettivo, fermare il macabro bollettino di morti e violenze ai danni delle donne.
Già pubblicato su L’Altravoce dei Ventenni – Quotidiano del Sud 22/11/2021
Laureata in Scienze Storiche all'università La Sapienza, appassionata di radio e informazione, dopo uno stage a Rai radio 3, ha realizzato il radio-documentario "Tutto normale un altro sguardo sulla disabilità", andato in onda sulla stessa emittente.