Una delle poche certezze degli ultimi anni è che sempre più persone riescono a fare a meno del vecchio tubo catodico; una presa di posizione che coinvolge ogni fascia d’età, con un occhio di riguardo all’universo giovanile. Fiction, intrattenimento, reality, quiz: nessuna distinzione tra un format e l’altro. Tutto quello che offre la TV al giorno d’oggi non riesce a catturare l’attenzione di un boomer e neanche quella di un millennials, cresciuti a pane e televisione. Figuriamoci, quindi, quella della generazione Z, vissuta al tempo dei social e dello streaming.
Il calo d’ascolti degli ultimi anni è tangibile ed insindacabile; un regresso che, anno dopo anno, ha visto un crollo progressivo, come dimostrato dai numeri rivelati da Agcom. Gli ascolti TV medi giornalieri del primo trimestre del 2023 mostrano, rispetto al corrispondente periodo del 2022, una flessione del 5,8% (da 9,61 a 9,06 milioni) nel giorno medio; un simile andamento (-5,5%) si registra anche per la fascia oraria del prime time (da 22,23 a 21,02 milioni di spettatori). L’Agcom, inoltre, ampliando l’arco temporale dell’analisi, segnala come gli ascolti del 2023 si siano ridotti di 2,73 milioni (-11,5%) nel prime time e di 1,00 milioni (-9,9%) nel giorno medio rispetto al corrispondente valore del primo trimestre 2019, a testimonianza del crescente gradimento da parte del pubblico dell’offerta in streaming di contenuti video.
Nei primi tre mesi dell’anno, nel giorno medio, la Rai guida la classifica con 3,55 milioni di telespettatori (39,2% di share), seguita da Mediaset con 3,40 milioni (37,5%), mentre maggiormente distanziati risultano Discovery (690 mila), Comcast/Sky (630 mila) e Cairo Communication/La7 (340 mila). Quanto ai principali canali dei gruppi considerati (Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rete 4, Canale 5, Italia 1, La7, TV8 e Nove), complessivamente nel giorno medio, su base annua, si registra una diminuzione di 540mila spettatori (da 6,57 a 6,04 milioni, pari a una riduzione dell’8,2%), con flessioni non marginali per La7 (-22,7%), Rete 4 (-16,5%) e Rai 3 (-13,4%).
Numeri considerevoli che rispecchiano al contempo la scarsa proposta di una televisione incapace di rimodernarsi e imboccare nuove strade. Teo Mammucari, non a caso, nelle scorse settimane esordiva così: “Ho avuto il coraggio di lasciare Mediaset, Le Iene e Tu sì Que Vales. Quanti lo farebbero? Eppure qualcuno pensa che io sia stato mandato via. No, non posso lavorare dove non si fa niente di nuovo da 30 anni”. Come dargli torto.
Basti pensare che gli unici programmi che dovrebbero, in qualche modo, attrarre il mondo giovanile sono Il collegio, il Grande Fratello e Temptation Island, famosi per la finzione che propongono. Il resto è un miscuglio di comizi politici trapiantati in televisione che hanno lo scopo di scatenare diatribe tra i vari partiti. Si salvano soltanto tutti quei programmi che indagano su persone scomparse o delitti irrisolti, ma capite bene che i giovani necessitano di un po’ di sana leggerezza. Leggerezza che prima riusciva ad offrire Italia 1, oggi luogo di serie TV mandate in replica in eterno, o il vecchio e mai dimenticato MTV, dove girava musica 12 ore al giorno. Fortuna che ci sono ancora Le Iene, intrattenimento contemporaneo ed istruttivo; ma il resto? La TV rimane accesa soltanto nei giorni di Sanremo, questo grazie a chi, negli ultimi anni, ha ringiovanito e modernizzato il Festival rendendolo adatto a tutte le generazioni.
Non sono da biasimare, dunque, tutti quei ragazzi e ragazze che preferiscono trascorrere ore davanti a YouTube o Twitch. C’è chi giustifica tale scelta affermando – con pregiudizio – che i giovani se ne stanno tutto il giorno a fissare il cellulare, ma la verità è che tali piattaforme offrono una quantità infinita di contenuti, tutti differenti gli uni dagli altri. Dibattiti, riflessioni, giochi, musica, calcio, il tutto all’insegna dell’interazione. Se oggi continua a collezionare ascolti soltanto Paperissima è perché il target di riferimento – ovvero i bambini – non hanno ancora dimestichezza con l’alternativa “internet, gaming e streaming”. Il che la dice lunga su chi, in questi anni, non sia stato in grado di offrire un’alternativa concreta e stuzzicante.
Gli ascolti non mentono mai: le TV spente sono lo specchio di una proposta televisiva scadente, oltre all’esistenza di una concorrenza adatta a tutti, grandi e piccini, che dà la possibilità di non essere vincolati ad orari ben precisi. Prendendo spunto dal programma condotto da Gerry Scotti, potremmo definire il mondo della televisione letteralmente in “caduta libera”.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni