Turismo e marketing: un binomio vincente

Di Antonella  Di Lucia

L’Italia è il Paese col maggior numero di siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Ben 50, potete consultarli qui. Eppure in Europa per quel che riguarda l’occupazione culturale e creativa siamo terz’ultimi, dietro di noi solo la Romania e il Portogallo. All’estero, in media, i beni culturali danno lavoro a 3 milioni di persone; in Italia, nel 2014, solo a 1,4 milioni. Oggi i beni culturali producono in Italia un giro di affari che vale 40 miliardi di euro e il 2.6% del PIL. In Inghilterra con un patrimonio storico e artistico immensamente inferiore al nostro, tirano su 73 miliardi di euro, il 3.8 % del PIL.

Di recente sono stata in Lituania, che di siti patrimonio dell’umanità ne ha invece quattro, ma sono rimasta colpita dall’abilità dei lituani di riuscire a valorizzare le bellezze e i luoghi di interesse del loro Paese. Il castello di Trakai era distrutto ed è stato completamente ricostruito a partire dagli anni ‘30. Oggi è adibito a museo. Non ha arredi, ma qualche arazzo d’epoca sopravvissuto al tempo e soprattutto cimeli, vestiti, oggetti d’uso comune, informazioni e contenuti interattivi che raccontano come vivevano le varie popolazioni che si sono alternate nel corso dei secoli a Trakai. Insomma, nel Castello di Trakai te la raccontano un po’, ma è proprio questo il bello: raccontare! Alla gente piace essere intrattenuta e, invece, noi Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori, nel turismo non siamo bravi a raccontare storie. Forti delle nostre magnifiche città d’arte e del ricchissimo tessuto culturale che caratterizza il nostro territorio, curiamo poco la cornice, il contesto. E ci accontentiamo di un turismo mordi e fuggi, con una visita media di 3 giorni, per l’itinerario classico Roma-Venezia-Milano, contro i 7 giorni della Francia. Code chilometriche all’ingresso delle principali attrattive turistiche, prezzi dei biglietti esosi e scarsi servizi (spesso è impossibile pagare con la carta di credito) contraddistinguono la nostra offerta.

Poche, pochissime sono le attrattive collaterali ai siti storici e artistici del nostro Paese dove il turista può trascorrere mezza giornata lasciandosi intrattenere da filmati, testimonianze o bevendo un caffè al chiuso.

Manca una strategia di marketing di lungo periodo e globale; manca la brandizzazione di un patrimonio inestimabile. Il Country Brand Index, una ricerca che stila una classifica dei Paesi in base all’appeal di una destinazione agli occhi dei viaggiatori internazionali, ci vede al diciottesimo posto per il 2014 e rispetto al 2013 siamo scesi di tre posizioni.

Perché le ville del lago di Como o le 4000 residenze principesche disseminate tra il Veneto e il Friuli non attirano tanti visitatori quanto i castelli della Loira? Perché non sono altrettanto belle forse? No. Perché non siamo bravi a vendere il nostro prodotto. Non esiste un brand, non esiste una strategia coordinata, spesso le informazioni sul web non sono accurate o aggiornate. Inoltre, gli incentivi fiscali ai proprietari affinché si occupino della manutenzione e dei restauri sono praticamente nulli. Così, un patrimonio mal gestito anziché rendere diventa un costo.

Ricapitolando, una quota anche cospicua di beni culturali non è sufficiente per attrarre automaticamente la domanda di consumo culturale. Serve un livello di progettazione adeguato per l’offerta dei servizi culturali che renda facilmente fruibili i beni artistici. E serve crederci un po’ di più. L’attitudine tutta italiana a pensare sempre che gli altri siano meglio di noi, a buttarci giù, a non valorizzare e rispettare il nostro territorio, non aiuta. Se non ci crediamo noi per primi, come possiamo pretendere che ci credano gli altri?download images

 

 

Antonella Di Lucia
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Siciliana doc, ma residente a Milano da 4 anni, studia Management all’Università Bocconi. Pretende molto da se stessa e ama sfidarsi e, per una a cui piacciono le discipline umanistiche, studiare economia è una bella sfida. Ma la curiosità è dalla sua parte e, alla fine, riesce ad appassionarsi un po’ a tutto.
Non sa ancora cosa vuole fare da grande, ma sta rispolverando le antiche passioni.
È perennemente combattuta tra il desiderio di libertà e il bisogno di appartenenza.