Diritto penale e garanzie costituzionali in poche battute
Dichiarazione d’intenti
Sempre più spesso, ormai, recepiamo e subiamo informazioni in modo passivo. A volte siamo come macchine in stand-by: accese ma non attive. Spugne che assorbono tutto ciò che capita.
Non sempre approfondiamo le notizie. Leggiamo i titoli degli articoli e non i contenuti e, se anche passiamo ai contenuti, ce li facciamo bastare alla prima battuta, formando la nostra opinione uguale all’unica cosa che, su questa o quella tematica, abbiamo letto. Capita che ripetiamo le idee di qualcun altro e magari, se ci chiedono di argomentarle, non ne siamo pienamente in grado. Nonostante ciò, come leoni da tastiera ci muniamo di tutta la forza delle nostre dita e alimentiamo polemiche e discussioni seduti di fronte lo schermo dei nostri cellulari o pc.
Questi spunti di riflessione sono nati dentro di me nel giugno 2017, quando un moribondo Toto Riina, che di lì a pochi mesi sarebbe morto, chiedeva di ottenere la detenzione domiciliare per poter terminare la propria vita fuori dal carcere.
Quello che è stato scritto e condiviso dai miei connazionali in merito mi ha fatto rabbrividire. Ho preso parte anche io al dibattito social e, da quel momento, in tutti i modi che ho a disposizione, cerco di sensibilizzare i miei occasionali interlocutori su tematiche che riguardano il nucleo fondamentale dei diritti umani. La vita, la dignità, la libertà personale, la salute, la parità di genere ed ancora, giusto per rimanere attuali, la legittima difesa, l’immigrazione. Cose che ci toccano molto più da vicino di quel che pensiamo e riguardo le quali è bene provare a maturare maggiore consapevolezza e senso critico, piuttosto che pedissequamente ripetere slogan di campagne elettorali.
Spero di riuscire a toccare tutti questi argomenti nei prossimi appuntamenti che ci vedranno insieme.
Oggi, per un primo approccio e partendo dalla questione Riina, cominciamo da nozioni di base di diritto penale.
Il diritto penale e la morale sociale
La prima cosa che gli studenti di giurisprudenza imparano quando aprono un manuale di diritto penale è che quest’ultimo e la morale sono due concetti che, sebbene non sovrapponibili, sono molto simili: la maggior parte delle volte, una condotta che è penalmente rilevante, cioè è prevista dalla legge come reato, è anche moralmente riprovevole, ovvero la società non la vede di buon occhio. Per esemplificare, l’omicidio è un reato e tutta la comunità, anche se non fosse previsto dalla legge come tale, non considererebbe una brava persona una che ne ammazza un’altra.
Il diritto penale è alla portata di tutti, a differenza degli altri rami del diritto dove molte cose sono perlopiù frutto dell’artificioso ingegno umano. Chi non lo studia o non ci si è sei mai imbattuto nella vita, può mai sapere che cos’è una servitù prediale? L’usucapione? Il trust? No, ed è normale. Ognuno ha le proprie conoscenze.
Quando si parla, invece, di ergastoli e quarantunobis, soprattutto al sud Italia -per ovvie ma infelici ragioni- ognuno si sente competente.
La presunzione di competenza
Essa ha varie cause, oltre quanto già accennato riguardo la morale.
Innanzitutto il reato, materialmente inteso, è una condotta, cioè un fatto umano, e ciò che è umano è comprensibile pertutti. Aldilà delle sfumature interpretative, è generalmente noto il significato della premeditazione, della minaccia, dell’omicidio tentato, dello sfruttamento della prostituzione. Il secondo motivo risiede nel fatto che, fin da quando nasciamo, tutti siamo perennemente bombardati dalla cronaca nera, grazie alla quale, seduti intorno al tavolo da pranzo, abbiamo imparato termini come indagini preliminari, arresti domiciliari, omicidio colposo, associazione a delinquere di stampo mafioso.
Proprio per queste sue caratteristiche, il diritto penale comporta un naturale coinvolgimento emotivo della collettività, perché tutti siamo bravi a giudicare le azioni dei nostri simili. Spesso questa implicazione sentimentale, come nel caso di Totò Riina, diviene accanimento, che è quanto di più malsano possa esistere, oltre che contrario ai principi della nostra Costituzione.
Il processo penale e il processo mediatico
Quando una persona commette un reato, detto in parole povere, le cose vanno così: si svolgono indagini, si chiede il rinvio a giudizio, c’è il processo, si sentono i testimoni, parla l’imputato se ne ha voglia, parla la difesa, poi il pubblico ministero; infine, l’ultima parola spetta al giudice, che, se la colpevolezza dell’imputato è provata aldilà di ogni ragionevole dubbio,lo condanna. Sicuramente l’avvocato impugna la sentenza in appello e, se ci sono i presupposti, ricorre per Cassazione e quando sono esaurite tutte le possibilità di far cambiare idea ai vari giudici, la condanna diventa definitiva.
Per il grande pubblico che si è appassionato alla vicenda e si è sbizzarrito a criticare o ad avallare le opinioni di giudici, avvocati, criminologi, politici, qui cala il sipario. Arrivederci e alla prossima tragedia ad alto impatto mediatico. Tutti, dopo questo momento, sembrano dimenticare ciò che resta: un uomo.
Che sia della peggiore specie criminale, come Salvatore Riina, o che sia vittima del più grande errore giudiziario della storia, quello che resta, quando si spengono i riflettori, è un uomo che deve scontare una pena.
L’esecuzione della pena
Esiste una specifica branca del diritto penale che si occupa dell’esecuzione, cioè di come una persona condannata debba espiare la propria pena, di quando e se il giudice possa concedere ad un detenuto la liberazione anticipata o un permesso per uscire o gli arresti domiciliari ecc.
L’esecuzione penale deve rispettare due principi fondamentali.
1) La pena deve tendere allarieducazionedel condannato.
2) Non possono riservarsi ai detenuti trattamenti inumani e degradanti.
E poi ci sono tutte regole tecniche per i conteggi dei giorni di pena già espiati e cose simili.
La Costituzione
Lo sdegno per la richiesta di Totò Riina e per la sentenza della Corte di Cassazione con la quale si accennava al “diritto ad una morte dignitosa” derivavano da quel naturale coinvolgimento emotivo, normale per chi certe cose non le ha studiate. Normale per tutti, in verità. Anche io, che con il diritto penale convivo quotidianamente, ho continui coinvolgimenti emotivi e tante volte mi ritrovo a maledire le garanzie costituzionali, in nome delle quali troppo spesso c’è chi non ha quel che io penso si meriterebbe. Però, poi, mi fermo sempre a riflettere. E mi dico che se oggi abbiamo una Costituzione che tutela i diritti di tutti è perché è stata scritta appena dopo la fine del regime fascista e proprio per evitare che le atrocità di quel periodo potessero essere commesse di nuovo.
Le persone, oggi, hanno diritto ad un processo in cui ad essere provate sono le accuse e l’innocenza si presume, mentre ai tempi di Benito Mussolini bastava una telefonata anonima per farti finire in carcere e costringerti a difenderti in un processo che era costruito tutto contro di te.
Io sono fiera della nostra Costituzione, la più bella opera letteraria che abbia mai letto.
E sono fiera anche che l’Italia aderisca alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, grazie alla quale tanti cittadini europei riescono ad ottenere diritti che altrimenti vedrebbero negati.
E i diritti sono belli perché sono di tutti.
Sono tutti figli. E i figli che sbagliano, certo, devono pagare, ma sempre con rispetto della loro dignità.
I corleonesi questo rispetto non lo hanno avuto neanche verso i bambini, ma non riservargli il giusto trattamento equivale ad essere un po’ come loro.
Negare a Totò u curtule garanzie che l’Ordinamento penitenziario gli offriva avrebbe significato che lui anche da moribondo era in grado di sovvertire l’ordine, le regole, i principi costituzionali. Altro odio, altra violenza.
Noi non siamo come i mafiosi
Io non voglio essere come il capo dei capi. Nemmeno un po’. Mai.
Io voglio rispettare e applicare la legge, come avrebbero fatto Falcone, Borsellino, Chinnici e gli altri.
E la legge dice che se un detenuto è affetto da una grave infermità fisica, non più curabile, da cui deriva il pericolo di morte, può essere “messo ai domiciliari” al fine di garantirgli una morte dignitosa.
Pace all’anima sua, come si dice dalle mie parti: Riina è morto prima che potessimo conoscere la decisione della magistratura. Ma non importa.
La cosa più importante
Ciò che conta davvero è che non dobbiamo mai perdere di vista la nostra umanità.
Proviamo ad aggiungere sempre un tassello al nostro quadro d’insieme. Eleviamo di un gradino la nostra coscienza. Ragioniamo un minuto in più, o meglio ragioniamo! Senza fermarci alla prima sensazione dettata dalla rabbia. Non siamo superficiali riguardo le nostre emozioni.
E non siamo superficiali riguardo le nostre opinioni. Stiamo attenti a ciò che leggiamo e che ripetiamo: confrontiamo i giornali, le televisioni.
E poi, consultiamo da soli la fonte di cui si parla, in modo da poter formare la nostra opinione in modo autonomo. Se non capiamo qualcosa, consultiamoci con gli altri, facciamoci spiegare un passaggio di una sentenza o di una norma …che tanto un amico che ha studiato giurisprudenza lo abbiamo tutti!